Norme e Giurisprudenza

Licenziamento: il termine di 270 giorni decorre dall’impugnazione stragiudiziale

Licenziamento: il termine di 270 giorni decorre dall’impugnazione stragiudiziale

Licenziamento: il termine di 270 giorni decorre dall'impugnazione stragiudiziale

Il termine per l’impugnazione del licenziamento di 270 giorni decorre dall’atto dell’impugnazione stragiudiziale e non dal termine previsto per tale impugnazione. La norma che commina l’inefficacia “dell’impugnazione” extragiudiziale non seguita da tempestiva azione giudiziale, dimostra come dal primo dei due atti debba decorrere il termine per compiere il secondo, e non dalla fine dei sessanta giorni concessi per l’impugnazione stragiudiziale. L’esigenza di celerità, intesa a tutelare l’interesse del datore di lavoro alla certezza del rapporto, indica ancora che il termine debba decorrere dalla spedizione e non dalla ricezione dell’atto. Sono questi i principi affermati dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 5717 del 20 marzo 2015.

IL FATTO
Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte d’Appello, in riforma della decisione del Tribunale, ha dichiarato l’inefficacia del licenziamento intimato alla dipendente di una casa di cura.
Per quanto rileva in questa sede la Corte territoriale ha considerato tempestiva l’impugnazione del licenziamento, considerando rispettato il termine di 270 giorni di cui all’art. 6 della legge n. 604 del 1966, come modificato dall’art. 32 della legge n. 183 del 2010, che prevede il termine di 60 giorni per l’impugnazione del licenziamento e l’inefficacia dell’impugnazione stessa se non seguita entro i successivi 270 giorni dal deposito del ricorso in sede giudiziale; in particolare la Corte d’Appello ha considerato che il termine di 270 giorni decorre dal termine di 60 giorni per l’impugnazione stragiudiziale per cui il termine complessivo per l’impugnazione giudiziale è di 60 più 270 giorni e quindi di 330 giorni complessivi.

Avverso la decisione della Corte territoriale ha proposto ricorso per cassazione la casa di cura, sostenendo che il termine per l’impugnazione di 270 giorni decorra dall’atto dell’impugnazione stragiudiziale e non dal termine previsto per tale impugnazione.

LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dalla casa di cura. Sul punto, precisano gli Ermellini che a norma dell’art. 6, primo comma, della legge n. 604 del 1966, “il licenziamento dev’essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta (…) con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore (…)”. Per l’impedimento di questa decadenza è sufficiente la consegna dell’atto all’ufficio pubblico che cura la spedizione, come ha stabilito la Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 8830/2010, non rilevando perciò il giorno di ricezione da parte del datore di lavoro.

Prima che il secondo comma di detto art. 6 venisse novellato dall’art. 32 della legge n. 183 del 2010, una volta impedita la decadenza, il potere di impugnare in via giudiziale il licenziamento veniva assoggettato, a norma dell’art. 2967 del codice civile, al termine quinquennale di prescrizione di cui all’art. 442, primo comma, del codice civile. Sembrò al legislatore che la durata di questo termine lasciasse troppo a lungo incerta la posizione del datore di lavoro, sottoposto alla possibilità dell’ordine di reintegrazione da parte del giudice e della condanna a risarcire un danno che aumentava col trascorrere del tempo. La lunghezza di detto termine poteva così favorire una sorta di abuso della prescrizione, ossia di inerzia del lavoratore, che traesse vantaggio dalla protrazione dell’esercizio del suo potere di impugnare e di chiedere il risarcimento del danno da licenziamento illegittimo.

Intervenne così il legislatore del 2010, che con l’art. 32, comma 1 cit., stabilì: “L’impugnazione (stragiudiziale) è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni (poi ridotto a centottanta giorni dall’art. 1, comma 38, della legge n. 92 del 2012), dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro”.

La questione posta, nel caso di specie, alla Suprema Corte è se la decorrenza di quest’ultimo termine inizi dalla spedizione dell’impugnazione stragiudiziale, oppure, come deciso dalla Corte d’Appello, dallo scadere del termine di sessanta giorni di cui all’art. 6 cit.

La Corte di Cassazione sposa la tesi che la decorrenza del termine di impugnazione inizi dalla spedizione dell’impugnazione stragiudiziale.
La lettera della disposizione contenuta nell’art. 32, comma 1, cit., che commina l’inefficacia “dell’impugnazione” extragiudiziale non seguita da tempestiva azione giudiziale dimostra come dal primo dei due atti debba decorrere il termine per compiere il secondo.
Precisano gli Ermellini che l’esigenza di celerità, intesa, come s’è detto, a tutelare l’interesse del datore di lavoro alla certezza del rapporto, porta a precisare che il termine debba decorrere dalla spedizione e non dalla ricezione dell’atto.

Ne consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata.

La lettera della disposizione contenuta nell’art. 32, comma 1, l. n. 183 del 2010, modificato dall’art. 1, comma 38, l. n. 92 del 2012 che commina l’inefficacia “dell’impugnazione” extragiudìziale non seguita da tempestiva azione giudiziale, dimostra come dal primo dei due atti debba decorrere il termine per compiere il secondo, e non dalla fine dei sessanta giorni concessi per l’impugnazione stragiudiziale.
L’esigenza di celerità, intesa a tutelare l’interesse del datore di lavoro alla certezza del rapporto, indica ancora che il termine debba decorrere dalla spedizione e non dalla ricezione dell’atto.

Corte di Cassazione – Sentenza N. 5717/2015

FONTE: http://bit.ly/1BNHZ7f

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