Norme e Giurisprudenza

La giurisprudenza amplia gli atti impugnabili

La giurisprudenza amplia gli atti impugnabili

normativa

Spesso difendersi da Equitalia è un compito tutt’altro che semplice. Soprattutto ove si consideri che gli atti che possono essere impugnati davanti alle commissioni tributarie sono espressamente elencati dall’articolo 19 del D.Lgs. 546/92.

Tuttavia, dalla giurisprudenza arrivano speranze.

Gli atti impugnabili
Ai sensi dell’articolo 19 del D.Lgs. 546/1992, il ricorso può essere proposto avverso:

– l’avviso di accertamento del tributo;
– l’avviso di liquidazione del tributo;
– il provvedimento che irroga le sanzioni;
– il ruolo e la cartella di pagamento;
– l’avviso di mora;
– l’iscrizione di ipoteca sugli immobili;
– il fermo di beni mobili registrati;
– gli atti relativi alle operazioni catastali;
– il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti;
– il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari;
– ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie.

La prima e più importante questione attiene alla tassatività dell’elenco appena richiamato: in altre parole, se un determinato atto non è tra quelli sopra richiamati, il contribuente può comunque impugnarlo?

In linea di massima dobbiamo ritenere che sia ormai superato il noto principio della tassatività degli atti impugnabili, soprattutto alla luce di alcune importanti sentenze della Corte di Cassazione.

Ad oggi, infatti, si ritengono impugnabili davanti al giudice tributario “tutti quegli atti con cui l’amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita” (Corte di Cassazione, Sentenza 9 dicembre 2009, n. 25699).
Gli stessi Giudici proseguono chiarendo che l’atto è impugnabile “ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto”.

Allo stesso modo, la Corte di Cassazione, con la Sentenza 5 ottobre 2012, n. 17010 ha chiarito che il “catalogo” degli atti impugnabili “è suscettibile di interpretazione estensiva, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (articoli 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della p.a. (articolo 97 Cost.), che in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la Legge n. 448 del 2001”.
È stata quindi riconosciuta la facoltà “di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria”.

Gli atti dell’agente della riscossione

Posto quanto sopra precisato, dubbi potrebbero sorgere in merito agli atti dell’agente della riscossione.

Ipotizziamo infatti che un contribuente non abbia ricevuto la cartella di pagamento, ma, venuto a conoscenza di una procedura cautelare nei suoi confronti, chieda e ottenga un estratto di ruolo (essendo preclusa la possibilità di avere copia della cartella di pagamento).
Ebbene, questo documento può essere impugnato?

In questo caso la Giurisprudenza è stata molto precisa nell’individuare le fattispecie nelle quali può ritenersi impugnabile l’estratto di ruolo.

La sentenza della Corte di Cassazione 19 marzo 2014, n. 6395 ha infatti chiarito che l’estratto di ruolo può essere impugnato solo in quelle ipotesi in cui “per espresse previsioni normative, esso venga ad incidere direttamente sul rapporto tributario individuale, ovvero allorquando venga ad essere notificato al contribuente da solo, in luogo della cartella di pagamento, assumendo, in tal modo, la natura di un atto impositivo autonomamente impugnabile”.

Negli altri casi, invece, l’estratto di ruolo rimane un atto interno all’Amministrazione, che può essere impugnato soltanto insieme all’atto impositivo notificato, ovvero la cartella di pagamento.

Vi sono tuttavia anche altre ipotesi nelle quali il contribuente può venire a conoscenza delle pretese di Equitalia attraverso atti diversi dalla cartella di pagamento.
Si pensi, per tutte, all’avviso di intimazione di pagamento: può accadere, infatti, che un soggetto sia raggiunto da un’intimazione di pagamento senza in realtà sapere di avere delle pendenze nei confronti dell’Agente della riscossione, non avendo mai ricevuto la cartella di pagamento.

L’aspetto più preoccupante è dato dal fatto che la cartella di pagamento, in questi casi, è ormai divenuta definitiva, essendo spirato il termine per impugnarla. È possibile rimediare impugnando, appunto, l’avviso di intimazione di pagamento?

Anche in questo caso può essere data risposta positiva. Come ricordato infatti dalla Sentenza della Corte di Cassazione n.21891 del 15 ottobre 2009 “l’avviso di mora non è un atto dell’esecuzione, ma un atto prodromico all’esecuzione e, come tale, esso può essere impugnato innanzi al giudice tributario, cui spetta la giurisdizione esclusiva in materia”.

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