Lavoro e Previdenza, Norme e Giurisprudenza

Omissione contributiva. Sì alla doppia sanzione

Omissione contributiva. Sì alla doppia sanzione

normativa

Cassazione Penale, sentenza depositata il 20 luglio 2015

Lo stesso episodio di omissione contributiva può essere sanzionato due volte. È quanto emerge dalla sentenza 20 luglio 2015, n. 31387, della Terza Sezione Penale della Cassazione.

Ai supremi giudici si è rivolto un imprenditore che è stato riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 2 D.L. 683/73 avendo egli omesso il versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti con riguardo al periodo d’imposta marzo – dicembre 2007.

L’imputato, in virtù del principio del “ne bis in idem”, ha sostenuto l’illegittimità della condanna inflittagli dalla Corte d’Appello alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 300 di multa, posto che, per il medesimo fatto storico, era già stato condannato in via definitiva al pagamento della sanzione ex art. 116, comma 8, lett. a), della L. 388/00, avente natura sostanzialmente penale.

I giudici del Palazzaccio hanno ritenuto il ricorso infondato.

Per la Terza Sezione Penale, in coerenza con i principi esposti nella sentenza Grande Stevens c. Italia, si è trattato di verificare, al di là del nomen iuris attribuito alla sanzione prevista dall’art. 116 comma 8, della Legge 689 del 1981, se essa assuma una natura intrinsecamente penale o meno.

Ebbene, a giudizio del Collegio di legittimità, non si può attribuire “natura intrinsecamente penale” alla sanzione in parola in quanto, mentre la sanzione prevista dall’art. 2 comma 1 bis della L. 683/38 mira a tutelare il diritto del lavoratore in danno del quale il datore di lavoro si è appropriato delle somme a lui riservate (tanto che comunemente il delitto previsto dalla legge sopra ricordata viene accostato alla figura dell’appropriazione indebita), la sanzione contemplata nell’art. 116 citato ha effetti ristoratori verso l’INPS, “dunque assume caratteri sostanzialmente, e non solo formalmente, civilistici”. Il che “esclude in radice la possibilità di considerare l’identità del fatto, come erroneamente prospettato dalla ricorrente, in quanto per identità del fatto non basta certo la medesimezza dell’avvenimento storico, ma occorre che siano identici tutti i tratti caratteristici. Inoltre non può certo attribuirsi carattere di particolare afflittività alla sanzione civile tale da farla assimilare a una sanzione penale tenuto conto anche dei limiti massimi insuperabili ai quali parametrare la sanzione irrogabile”.

E allora la Cassazione ha ritenuto del tutto legittimità della sentenza impugnata, stante la non sussistenza della questione di illegittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. pen. (“Divieto di un secondo giudizio”) – in riferimento all’art. 117 Cost. e art. 4 Prot. 7 CEDU – prospettata dal ricorrente.

Non solo. Gli ermellini ritengono ininfluente anche la crisi di liquidità dedotta dal ricorrente perché la giurisprudenza di legittimità ha “escluso ogni rilevanza, sotto il profilo soggettivo, alla circostanza che il datore di lavoro stia attraversando una fase di criticità e destini le proprie risorse finanziarie per fare fronte a debiti di altra natura (come, in ipotesi, il pagamento degli emolumenti ai dipendenti) ritenuti più urgenti: ciò in dipendenza del fatto che l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice è il dolo generico costituito dalla consapevole scelta da parte del soggetto obbligato di omettere il versamento di quanto dovuto” (cfr. Cass, Sez. III, n. 3705/2013 e n. 13100/2011).

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