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Evasione fiscale. Occhio alle donazioni ai parenti

Evasione fiscale. Occhio alle donazioni ai parenti

normativa

In tema di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, deve ritenersi legittimo il provvedimento di sequestro preventivo disposto sui beni donati dall’indagato al proprio figlio – nella specie soggetto estraneo alle indagini – quando l’atto di liberalità è avvenuto dopo la notifica dell’accertamento fiscale.

È quanto emerge dalla sentenza n. 36378/15 della Terza Sezione Penale della Cassazione.

Gli ermellini hanno respinto il ricorso proposto dal figlio di un soggetto indagato per il reato previsto dall’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000. Il ricorrente – terzo non indagato – ha lamentato senza successo l’illegittimità del provvedimento di sequestro preventivo di un magazzino e della quota di un negozio oggetto di donazione da parte del genitore.
A giustificare il provvedimento cautelare è stata la tempistica dell’atto di disposizione – essendo questo avvenuto dopo la notifica all’indagato degli avvisi di accertamento –; mentre di nessun pregio è parsa la deduzione difensiva sull’esistenza del rimedio dell’azione revocatoria – trattandosi di evento futuro e incerto – né quella concernente l’esistenza di altri beni nel patrimonio del presunto evasore.

La Corte di Cassazione, nel confermare la misura, spiega che affinché siano integrati gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice basta unicamente che la condotta risulti idonea a rendere in tutto o in parte inefficace una procedura di riscossione coattiva da parte dello Stato; idoneità da apprezzare con giudizio ex ante. Quindi non rileva l’effettiva verificazione dell’evento. Pertanto, ai fini della configurabilità del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è necessario, sotto il profilo psicologico, il dolo specifico (ovvero il fine di sottrarsi al pagamento del proprio debito tributario) e, sotto il profilo materiale, una condotta fraudolenta atta a vanificare l’esito dell’esecuzione tributaria coattiva la quale non configura un presupposto della condotta, in quanto è prevista dalla legge solo come evenienza futura che la condotta, idonea, tende a neutralizzare.

Nel caso di specie, il giudice di merito ha correttamente applicato la legge, dando esaustivamente conto del fumus del reato in questione. Ha sottolineato, in particolare, la tempistica sospetta della donazione (avvisi di accertamenti notificati al contribuente alla fine del 2013, istanza di adesione nel gennaio 2014 che non si è conclusa con un accordo e infine l’atto di disposizione nel novembre del 2014); il Tribunale ha anche osservato – del tutto correttamente secondo gli ermellini – “che anche un solo atto di cessione è idoneo a ostacolare l’apprensione dei beni da parte del fisco, essendo in tal caso detta apprensione subordinata a un evento futuro e incerto (l’efficace compimento dell’azione revocatoria)”.

D’altra parte la Suprema Corte ha escluso la correttezza giuridica della tesi difensiva circa l’idoneità dell’atto di liberalità a sottrarre la garanzia patrimoniale. Sul punto in sentenza si legge: “la donazione è un tipico atto idoneo a sottrarre la garanzia patrimoniale ai creditori, andando a incidere, riducendola, sulla garanzia patrimoniale del debitore di cui all’articolo 2740 del codice civile. E l’azione revocatoria è un rimedio previsto dalla legge proprio per rimediare ad altre iniziative; essa inoltre, […] comporta comunque la necessità di promuovere un’altra lite – anche se con il minor rigore probatorio derivante dal fatto che non si richiede l’ulteriore condizione di cui all’art. 2901 n. 2 cc (cioè la consapevolezza del pregiudizio da parte del terzo) – con tutte le conseguenze in termini di tempi, costi e incertezza”.

I giudici del Palazzaccio evidenziano, poi, la mancanza di indicazione, da parte del ricorrente, dell’ammontare del debito tributario, “elemento essenziale per valutare la capienza del restante compendio immobiliare”.

In conclusione, il ricorso è stato ritenuto inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 1.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende.

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