Licenziamento: diritto di difesa e discolpe fornite per iscritto

In tema di licenziamento disciplinare, le garanzie apprestate dallo Statuto dei lavoratori per consentire all’incolpato di esporre le proprie difese in relazione al comportamento addebitatogli non comportano per il datore di lavoro un dovere autonomo di convocazione del dipendente per l’audizione orale, ma solo un obbligo correlato alla richiesta del lavoratore di essere sentito di persona. Le discolpe fornite dal lavoratore per iscritto consumano il suo diritto di difesa se dalla dichiarazione scritta emerge la rinuncia ad essere sentito o quando la richiesta appaia, sulla base delle circostanze del caso, ambigua o priva di univocità. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26241 del 12 dicembre 2014.
IL FATTO
Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte d’Appello di Caltanissetta ha rigettato il ricorso di un lavoratore avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto la domanda di accertamento di illegittimità del licenziamento intimatogli (in esito a procedimento penale che gli aveva comportato sospensione dal servizio e dallo stipendio) il 1° giugno 2005 e del trasferimento disposto dall’INAIL (alla ripresa del procedimento disciplinare dopo il giudicato penale) da Agrigento a Caltanissetta e del diritto, in subordine, di trattenere le somme percepite a titolo di assegno alimentare arbitrariamente trattenutegli in sede di liquidazione del T.F.R., compensando le spese del grado.
A motivo della sentenza, la Corte territoriale ha escluso le prospettate ragioni di illegittimità del licenziamento, sia per rassicurazione di una congrua difesa dell’incolpato alla luce dello scrutinato tenore della sua lettera datata 23 maggio 2004, di risposta alla convocazione ricevuta per la personale audizione il 24 maggio 2005 a Roma, sia per la dipendenza del termine dilatorio di quindici giorni per l’assunzione di provvedimento disciplinare più grave del rimprovero verbale, stabilito dall’art. 55 del D.Lgs. n. 165/2001, dall’inutile loro decorso dalla convocazione per la difesa del dipendente, nel caso di specie esercitata con la lettera recapitata; ritenendo quindi coerente la reiezione delle ulteriori domande dal rigetto dell’impugnazione del licenziamento.
Nel ricorso per cassazione, il lavoratore sostiene, in particolare, la mancata assicurazione di adeguato esercizio del diritto di difesa e, dall’altro, la non esatta comprensione della richiesta del lavoratore di personale audizione, sulla base di non corretta e lacunosa lettura della lettera 23 maggio 2005, risolvendosi entrambi in una doglianza di manchevole garanzia del diritto di difesa.
LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La Corte di Cassazione respinge il ricorso presentato dal lavoratore. In particolare, osservano gli Ermellini come manchi o sia comunque assolutamente ambigua la volontà del lavoratore di recarsi a Roma per essere sentito personalmente, per le prospettate ragioni di sostanziale inutilità pratica, carenza di documentazione idonea e di mezzi finanziari, meglio impiegabili per le necessità della famiglia: come chiaramente si legge nell’ampio stralcio della lettera datata 23 maggio 2005 del ricorrente (“Sono stato convocato a Roma il giorno 24 maggio per il procedimento disciplinare che mi riguarda. So cosa mi aspetta perché la legge dice che se uno si fa condannare è licenziato. Con la presente preannuncio che non verrò a Roma perché è lontano. … è inutile raccontare cose se la legge dice che se uno è condannato viene licenziato. Se il mio destino è già stato deciso che vengo a buttare soldi e toglierli alla mia famiglia che ne ha bisogno? … E’ inutile che vengo a Roma a non dire niente per giustificare cose senza provarle perché vi farei solo pietà …”).
In definitiva, secondo l’interpretazione offerta dalla Cassazione, in tema di procedimento disciplinare a carico del lavoratore, le garanzie apprestate dallo Statuto dei lavoratori (art. 7, legge n. 300/1970) per consentire all’incolpato di esporre le proprie difese in relazione al comportamento addebitatogli non comportano per il datore di lavoro un dovere autonomo di convocazione del dipendente per l’audizione orale, ma solo un obbligo correlato alla richiesta del lavoratore di essere sentito di persona: sicchè le discolpe fornite dall’incolpato per iscritto consumano il suo diritto di difesa solo quando dalla dichiarazione scritta emerga la rinuncia ad essere sentito o quando la richiesta appaia, sulla base delle circostanze del caso, ambigua o priva di univocità; al di fuori di tali ipotesi, non può ritenersi consentito un sindacato del datore di lavoro in ordine all’effettiva idoneità difensiva della richiesta di audizione orale, neppure alla stregua dell’obbligo delle parti di conformare la propria condotta a buona fede e lealtà contrattuale, il quale può assumere rilievo ai fini della valutazione in ordine all’ambiguità della richiesta, ma non consente di dare ingresso ad una valutazione di compatibilità della facoltà di audizione esercitata dal lavoratore incolpato alla luce delle difese già svolte e della sua idoneità ad utilmente integrare queste ultime.
Da qui, dunque, il rigetto del ricorso.

L’ha ribloggato su Studio Seclì.
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