Norme e Giurisprudenza

Totale inabilità alle mansioni precedentemente svolte: impossibilità sopravvenuta e licenziamento

Totale inabilità alle mansioni precedentemente svolte: impossibilità sopravvenuta e licenziamento

In tema di impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa, tale da risolvere il rapporto, è onere del datore di lavoro dimostrare l’inesistenza in azienda di altre mansioni (anche diverse ed eventualmente inferiori) compatibili con lo stato di salute del lavoratore e a lui attribuibili senza alterare l’organizzazione produttiva, sempre che il dipendente non abbia già manifestato, a monte, il rifiuto di qualsiasi diversa assegnazione. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12489 del 17 giugno 2015.

IL FATTO
Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte d’Appello di Roma ha rigettato il gravame interposto da una Casa di cura avverso la decisione con cui il Tribunale, dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimato, per sopravvenuta totale inabilità al lavoro, ad una ausiliaria socio sanitaria, ne aveva ordinato la reintegra ex art. 18 della legge n. 300/70 con condanna al pagamento del risarcimento dei danni.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Casa di cura, in particolare sostenendo che i giudici non avevano considerato che il licenziamento era stato correttamente intimato unicamente in base al giudizio reso da un organismo pubblico, ossia dalla Commissione medica ospedaliera, che all’epoca aveva giudicato la dipendente totalmente e permanentemente inabile al lavoro, il che di per sé impediva la prosecuzione del rapporto e giustificava il recesso, senza che si dovesse accertare la possibilità di adibire la dipendente ad altre mansioni equivalenti od inferiori e dovendosi avere riguardo solo a quella che era la situazione di totale inabilità all’epoca accertata.

LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dalla Casa di cura. Nel caso di specie – precisano gli Ermellini – l’impugnata sentenza ha diffusamente motivato la propria condivisione delle relazioni dei c.t.u. che, sia in primo che in secondo grado, avevano confermato il giudizio di non incompatibilità (fatte salve talune limitazioni), già all’epoca del licenziamento (come si evince dalla relazione tecnica trascritta proprio in ricorso), della infermità riscontrata nella lavoratrice con le mansioni di ausiliaria socio-sanitaria da lei espletate alle dipendenze della Casa di cura.
Dunque – prosegue la sentenza -, anche a voler avere riguardo solo alla situazione in essere alla data del licenziamento, i giudici di merito hanno dato atto che non sussisteva incompatibilità fra patologia e mansioni della lavoratrice.

Ma neppure un ipotetico mutamento di tale situazione verificatosi dopo il recesso lo avrebbe giustificato, atteso che – ad ogni modo – la società non era vincolata al difforme giudizio all’epoca espresso dalla Commissione medica ospedaliera ex art. 5 della legge n. 300/70, perché esso non ha valore vincolante né per il datore di lavoro né per il giudice, che – infatti – può sottoporlo al proprio controllo nel contesto più ampio di tutte le prove acquisite, avvalendosi, se del caso, dell’ausilio di un consulente tecnico. Conseguentemente, in caso di contrasto tra l’accertamento sanitario predetto e la consulenza disposta nel corso del processo, il giudice del merito è tenuto a porre a raffronto le diverse risultanze allo scopo di stabilire quale sia maggiormente attendibile e convincente, con un apprezzamento valutativo sottratto al sindacato di legittimità ove correttamente e logicamente motivato.

A ciò si aggiunga – chiosa la Suprema Corte – che un giudizio pur di totale inabilità del lavoratore alle mansioni precedentemente svolte, formulato ex art. 5 della legge n. 300/70 dalla Commissione medica ospedaliera, come non impone il licenziamento così non integra un caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa tale da risolvere il rapporto, essendo pur sempre onere del datore di lavoro dimostrare l’inesistenza in azienda di altre mansioni (anche diverse ed eventualmente inferiori) compatibili con lo stato di salute del lavoratore e a lui attribuibili senza alterare l’organizzazione produttiva, sempre che il dipendente non abbia già manifestato, a monte, il rifiuto di qualsiasi diversa assegnazione.

Non ricorrendo tale ultima ipotesi, il ricorso è stato rigettato.

Un giudizio pur di totale inabilità del lavoratore alle mansioni precedentemente svolte, come non impone il licenziamento così non integra un caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa tale da risolvere il rapporto, essendo pur sempre onere del datore di lavoro dimostrare l’inesistenza in azienda di altre mansioni (anche diverse ed eventualmente inferiori) compatibili con lo stato di salute del lavoratore e a lui attribuibili senza alterare l’organizzazione produttiva, sempre che il dipendente non abbia già manifestato, a monte, il rifiuto di qualsiasi diversa assegnazione.

Corte di Cassazione – Sentenza N. 12489/2015

FONTE: http://bit.ly/1fsmgyD

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