La sentenza
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 dicembre 2013 – 23 gennaio 2014, n. 1424
Presidente Roselli – Relatore Balestrieri
Svolgimento del processo
La Presidenza del Consiglio dei Ministri proponeva appello avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Venezia con cui era stata accolta la domanda della M. , dipendente con contratto di lavoro a tempo parziale dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato, diretta ad ottenere la declaratoria del suo diritto a 25,6 giorni di ferie l’anno, in luogo dei 24,92 riconosciutile.
Resisteva la dipendente.
Con sentenza depositata il 28 agosto 2007, la Corte d’appello di Venezia rigettava il gravame.
Per la cassazione propone ricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, affidato ad unico motivo. Resiste la M. con controricorso.
Motivi della decisione
1.-L’amministrazione ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del c.c.n.l. del comparto Ministeri del 16.5.95; degli artt. 22, 23, comma 3, del successivo c.c.n.l. 18.2.99; degli artt. 11 e 12 del c.c.n.l. Avvocatura dello Stato del 10.10.2000 e dell’art. 22 della L. n. 724/94 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c).
Lamenta che la sentenza impugnata, in violazione delle norme sopra richiamate, non tenne conto che la ricorrente lavorava per cinque giorni alla settimana in luogo di sei, sicché, trattandosi di lavoro a tempo parziale c.d. verticale, il numero delle giornate di ferie andava proporzionato a quello delle giornate lavorative. Il ricorso è fondato.
L’art. 22, comma 1, della legge n. 724/94, che introdusse una normale articolazione dell’orario di lavoro pubblico su cinque giorni alla settimana, prevedeva la possibilità di deroga in relazione alle specifiche esigenze aziendali (“L’orario di servizio nelle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29, e successive modificazioni ed integrazioni, si articola su cinque giorni settimanali, anche nelle ore pomeridiane, in attuazione dei principi generali di cui al titolo I del predetto decreto legislativo. Sono fatte salve in ogni caso le particolari esigenze dei servizi pubblici da erogarsi con carattere di continuità e che richiedono orari continuativi o prestazioni per tutti i giorni della settimana, quelle delle istituzioni scolastiche, nonché quelle derivanti dalla necessità di assicurare comunque la funzionalità delle strutture di altri uffici pubblici con un ampliamento dell’orario di servizio anche nei giorni non lavorativi”). Analogo principio prevede l’art. 19 del c.c.n.l. di comparto del 16.5.95, e l’art. 12 del contratto integrativo in caso di peculiarità dei servizi istituzionali. È pacifico che presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato l’orario di lavoro fosse legittimamente distribuito su sei giornate lavorative, laddove la ricorrente lavorava quattro giorni alla settimana.
L’art. 23, comma 3, del c.c.n.l. comparto Ministeri del 18.2.99 stabilisce, giusta i principi generali elaborati in materia, che “i lavoratori in part-time verticale hanno diritto ad un numero di giorni di ferie proporzionato alle giornate di lavoro prestate nell’anno”.
Ne deriva, secondo la disciplina vigente, che in caso di part-time verticale (o misto), al lavoratore spetta un numero di giorni di ferie proporzionato alle giornate di lavoro prestate (cfr. Cass. 18.3.08 n. 7313), sicché risulta corretto il calcolo effettuato dalla ricorrente amministrazione, che ha corrisposto sostanzialmente alla dipendente i 4/6 dei giorni di ferie (36) spettanti al personale con orario pieno, più esattamente ed in particolare proporzionando i giorni di ferie (36) di tale personale per il numero di giornate lavorate (312), rapportandolo alle giornate lavorative della dipendente (216), per un totale di 24,92 giorni di ferie annui, non rilevando quanto affermato dalla Corte di merito circa la possibilità, presso la sede di Venezia, per i dipendenti a tempo pieno di fruire dell’articolazione dell’orario ordinario su cinque giorni alla settimana. Come infatti notato da questa S.C. nella sentenza sopra citata, il rapporto lavorativo pubblico si qualifica come part–time cosiddetto orizzontale quando la riduzione quantitativa della prestazione investa l’ordinario orario giornaliero di alcuni o tutti i giorni lavorativi che restano inalterati nel loro susseguirsi, in ciò differenziandosi dal part-time cosiddetto verticale, ove l’intera prestazione – eseguita secondo l’orario ordinario – si svolge soltanto in periodi predeterminati della settimana, del mese o dell’anno, così da modificare l’ordine e la successione stessa delle giornate lavorative.
Il ricorso deve pertanto accogliersi, la sentenza impugnata cassarsi e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa viene decisa direttamente da questa Corte con il rigetto dell’originaria domanda.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda proposta dalla M. . Condanna quest’ultima al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, pari ad Euro 1.350,00, di cui Euro 800,00 per onorari ed Euro 100,00 per spese; del giudizio di appello, pari ad Euro 1.500,00, di cui Euro 800,00 per onorari ed Euro 100,00 per spese, nonché del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro.100,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
[1] Cass. sent. n. 1424/2014.
FONTE: http://bit.ly/1EuKsf4

