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Il fallimento aziendale

Il fallimento aziendale

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Fallimento: presupposti soggettivi ed oggettivi, la procedura e gli effetti per soci, dipendenti e creditori.

La vita di un’azienda può essere segnata da diversi momenti che si succedono nel corso del tempo e, tra questi, può verificarsene uno in particolare che connota un aspetto negativo della vita aziendale, vale a dire il suo fallimento. Già il termine stesso – fallimento – denota una vicenda tutt’altro che positiva e ciò anche quando tale termine si riferisce in generale ad un momento nella vita di una persona, ma vediamo che cosa accade quando il fallimento, anziché colpire una persona fisica, colpisce un’azienda.

Le procedure concorsuali

Come accennato, il fallimento di un’azienda rappresenta un evento tutt’altro che positivo e ciò non solo per l’azienda stessa, ma anche per l’economia in generale.

Le aziende, infatti, non operano attraverso compartimenti stagni, ma interagiscono con altre imprese, richiedendo ad esempio alle banche i finanziamenti necessari per poter avviare o continuare la propria attività o acquistando le forniture utili ai fini produttivi, quindi facendo tutto ciò che consente all’azienda di creare profitti. Tale interazione determina quindi l’insorgenza di debiti in capo all’azienda e, laddove la stessa non riuscisse più a far fronte a tali debiti, ciò può determinare il tracollo di tutti i soggetti che vantino crediti nei confronti dell’azienda inadempiente.

Per questo motivo la legge disciplina determinate procedure concorsuali, ossia dei procedimenti giudiziali cui può essere sottoposta un’impresa insolvente al fine di soddisfare le pretese dei creditori, ripartendosi dunque fra tutti il pregiudizio derivante dal tracollo dell’azienda. Le procedure concorsuali conosciute dal nostro ordinamento sono:

  • il fallimento, di cui ci si occuperà nel presente articolo;
  • il concordato preventivo;
  • la liquidazione coatta amministrativa;
  • l’amministrazione straordinaria;
  • la ristrutturazione industriale di grandi imprese.

Il tratto comune delle procedure concorsuali ora elencate risiede nel fatto che esse coinvolgono tutti i creditori dell’imprenditore e colpiscono l’intero patrimonio aziendale.

Il fallimento: disciplina e presupposti soggettivi ed oggettivi

Il fallimento è disciplinato dal Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, noto come legge fallimentare, la quale subisce quasi ogni anno continue modifiche da parte del legislatore, risalendo infatti l’ultima modifica al 2016.

Le disposizioni sul fallimento si applicano solo agli imprenditori commerciali, vale a dire a tutti i soggetti che esercitano professionalmente un’attività economica organizzata al fine di produrre beni o servizi [1], indipendentemente dal tipo di attività esercitata. Si ricorda a tal fine che spesso il termine “impresa” ed “azienda” sono utilizzati come sinonimi, ma vi è chi ritiene che la prima indichi l’attività economica svolta dall’imprenditore e che la seconda si riferisca invece al complesso dei beni di cui l’imprenditore si avvale per svolgere la propria attività.

Nella categoria degli imprenditori commerciali non rientrano – e quindi non sono soggetti a fallimento – gli imprenditori agricoli e gli esercenti le professioni intellettuali, mentre non tutti gli imprenditori commerciali sono soggetti a fallimento: la legge esclude infatti espressamente che gli enti pubblici possano essere sottoposti a fallimento e lo stesso vale per le imprese che abbiano un attivo patrimoniale o dei ricavi superiori ad una determinata soglia, nonché debiti che non superino un certo ammontare (per l’indicazione di tali soglie si veda l’art. 1 l. fall.).

Presupposti oggettivi per la dichiarazione di fallimento delle aziende sono invece:

  • lo stato d’insolvenza, ossia l’impossibilità per l’imprenditore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, quindi si fa riferimento alla situazione dell’imprenditore che non riesca più a soddisfare in modo normale e con regolarità i propri creditori [2];
  • un’esposizione debitoria minima, non potendosi dichiarare fallimento laddove l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati non sia superiore a  30mila euro [3].

Le fasi della procedura fallimentare

L’avvio di una procedura fallimentare può dipendere da un’iniziativa del debitore stesso, parlandosi in questo caso di fallimento in proprio, oppure di uno o più creditori o, infine, del pubblico ministero. Il primo atto della procedura fallimentare è dunque rappresentato dall’istanza di fallimento, la quale consiste in un ricorso depositato presso il tribunale del luogo in cui l’impresa ha la sede principale.

Il tribunale convoca poi l’imprenditore e richiede allo stesso di depositare i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e la propria situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata: ciò al fine di svolgere un’istruttoria  che consenta di verificare la sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi del fallimento.

Una volta terminata l’istruttoria, il giudice dichiara il fallimento con sentenza, la quale sarà poi annotata nel registro delle imprese.

Una volta emessa la sentenza dichiarativa del fallimento si susseguono diverse fasi:

  • l’apprensione dei beni che spettano al fallimento e tale fase si realizza attraverso l’apposizione dei sigilli sui beni del fallito, la presa in consegna dei beni allo stesso appartenenti, nonché l’inventario di tali beni. A tali operazioni provvede il curatore fallimentare, il quale può essere definito come un organo pubblico che agisce a tutela della procedura fallimentare;
  • la fase di accertamento del passivo, ove i creditori del fallito possono presentare al tribunale domanda di insinuazione al passivo, in cui illustrano e dimostrano la causale e l’ammontare del proprio credito e chiedono contestualmente di partecipare alla liquidazione dell’attivo. In questa fase, quindi, in tribunale verifica la sussistenza del diritto dei creditori di partecipare alla ripartizione dell’attivo;
  • la fase di liquidazione dell’attivo, in cui si effettua la monetizzazione del patrimonio del debitore, ossia si procede alla “trasformazione” in denaro dei beni del fallito, provvedendo ad esempio alla vendita degli stessi;
  • si procede infine al riparto dell’attivo fra i creditori, attribuendo agli stessi quanto ricavato dalla liquidazione dell’attivo.

Effetti del fallimento sui soci

Al fine di comprendere quali effetti può avere un fallimento sui soci dell’azienda fallita, occorre effettuare una distinzione tra soci a responsabilità limitata e soci a responsabilità illimitata.

Nel caso in cui si sia in presenza di soci illimitatamente responsabili, quindi laddove si tratti di una società in nome collettivo (snc), il fallimento della società determina anche il fallimento dei soci.

Al contrario, il fallimento di una srl, in cui i soci sono limitatamente responsabili, non si estende ai soci stessi, infatti essi sono responsabili esclusivamente entro i limiti del proprio conferimento. I beni dei soci non potranno quindi essere in questo caso aggrediti, se non nei limiti del capitale conferito, dal momento che il fallimento tocca esclusivamente l’imprenditore e il patrimonio della società.

Quali conseguenze per i dipendenti dell’azienda fallita?

Nel momento in cui un’azienda fallisce a pagarne le conseguenze sono spesso i dipendenti, i quali perderanno il proprio posto di lavoro.

Per questo è necessario che essi chiedano innanzi tutto il riconoscimento delle indennità previste in caso di disoccupazione nell’attesa di trovare un altro posto di lavoro.

Nel caso in cui si sia poi verificato il mancato pagamento di uno o più stipendi, i lavoratori potranno effettuare l’insinuazione al passivo al pari degli altri creditori, considerato che in genere i loro crediti sono i primi ad essere saldati. Non solo, ma è previsto un apposito fondo di garanzia istituito presso l’Inps e relativo ai crediti di lavoro e al Trattamento di fine rapporto (Tfr). Ciò significa che, a prescindere dalla situazione economica del datore di lavoro, il Tfr, in caso di fallimento, spetta comunque al lavoratore ed è garantito grazie all’esistenza di tale fondo.

A tal fine giova precisare che il Tfr può essere corrisposto al lavoratore anche se non è ancora intervenuta la sentenza di fallimento, ma il datore di lavoro risulti comunque insolvente: in questo caso, infatti, il pagamento del Tfr maturato dal dipendente è comunque a carico del fondo di garanzia anche se non è ancora intervenuto il fallimento del datore di lavoro. Una volta intervenuto il fallimento, ad insinuarsi nel passivo non sarà più il lavoratore, il cui credito è stato ormai soddisfatto, bensì l’INPS stesso, il quale ha provveduto ad “anticipare” al lavoratore il Tfr dovuto dal datore di lavoro fallito.

[1] Art. 2082 c.c.

[2] Art. 5 legge fallimmentare.

[3] Art. 15 legge fallimmentare.

FONTE: http://bit.ly/2lGP9hd

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