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Co.co.co: Contratto di collaborazione coordinata e continuativa

Sono molte le forme attraverso le quali instaurare un rapporto di collaborazione. Una di queste è il contratto di collaborazione coordinata e continuativa.

C’è stato un periodo storico, più o meno agli inizi degli anni 2000, in cui si sentiva parlare molto spesso di co.co.co. L’attenzione sul tema è poi scesa nel corso del tempo anche se questa tipologia di rapporto di collaborazione è tutt’altro che scomparsa. Anzi. Con le norme introdotte dal decreto Dignità, secondo molti osservatori, il contratto di collaborazione coordinata e continuativa potrebbe tornare a vivere una nuova stagione di protagonismo.

Il confine tra autonomia e subordinazione nei rapporti di lavoro

Quando  un’azienda deve acquisire una certa professionalità, perché ne ha bisogno per svolgere le proprie funzioni, in prima battuta si chiede con quale forma contrattuale può assumere la risorsa di cui ha bisogno cercando anche di capire quanto costa ciascuna tipologia contrattuale e a quali rischi espone l’azienda. Come in ogni business plan si fa, dunque, una valutazione su rischi e benefici, pro e contro. Facciamo un esempio concreto. L’azienda Alfa, a seguito dell’introduzione del GDPR, ossia del nuovo regolamento europeo in materia di dati personali, vuole dotarsi di una risorsa professionale che dia consulenza interna, agli altri uffici, su come trattare i dati personali e supporti la società nel rispetto della privacy.

Con quale contratto si deve inquadrare questa risorsa? Come sappiamo la tipologia contrattuale standard è il contratto di lavoro subordinato [1]. Tale tipologia è utilizzata nella generalità dei casi, quando le aziende devono assumere personale dipendente che deve svolgere il proprio compito attenendosi alle direttive che vengono impartite dall’azienda stessa senza alcun margine di autonomia. Il contratto di lavoro subordinato è, però, una tipologia contrattuale che ha dei costi rilevanti. Al di là della retribuzione erogata al dipendente, che viene stabilita dai contratti collettivi di lavoro di settore, infatti, l’azienda deve pagare ingenti somme all’Inps ed all’Inail come contributi previdenziali.

Inoltre, il dipendente ha molte garanzie che diventano anche dei costi per l’azienda. Si pensi, a titoli esemplificativo, all’indennità di malattia che, in parte, è pagata dall’azienda ed in parte dall’Inps. Si pensi alle tutele in caso di maternità. Si pensi, ancora, alla disciplina del licenziamento che pone molti limiti alle aziende che volessero terminare un rapporto di lavoro. Per tutte queste ragioni le aziende sono spinte a verificare la possibilità di avvalersi della collaborazione di una determinata risorsa con tipologie contrattuali diverse dal contratto di lavoro subordinato. In alcuni casi, effettivamente, la risorsa che deve essere assunta non dovrà attenersi scrupolosamente alle direttive aziendali ma gli verranno concessi ampi margini di autonomia.

Torniamo al nostro esempio. Il consulente interno in materia di privacy non dovrà eseguire le direttive aziendali in maniera stringente ma, al contrario, anche a causa della particolare competenza e professionalità che gli sono richieste, avrà ampia autonomia nel lavorare e, tendenzialmente, potrebbe anche non dover essere presente fisicamente in ufficio ad orari prestabiliti. Basterà un mero coordinamento con gli altri uffici per dare in tempi ragionevoli le risposte e le soluzioni di cui gli stessi hanno bisogno. In effetti, ci sono delle attività lavorative che possono, almeno in teoria, essere inquadrate sia in un rapporto di lavoro dipendenteche in un rapporto di lavoro autonomo.

La parasubordinazione

Proprio in questo terreno di confine tra lavoro subordinato e lavoro autonomo si colloca il contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Rientrano in questa tipologia quelle collaborazioni in cui non è presente un vero e proprio rapporto di dipendenza ma, in ogni caso, non c’è nemmeno una assoluta autonomia del collaboratore il quale deve coordinarsi con colui che gli da l’incarico (il cosiddetto committente) e collabora stabilmente con il committente, per un periodo di tempo continuativo.

La parasubordinazione è rappresentata da quei rapporti di collaborazione non dipendente ma che hanno molti tratti in comune con il lavoro subordinato come, in particolare:

  • la continuità della collaborazione;
  • la prevalente personalità della collaborazione prestata;
  • il costante coordinamento con il committente;
  • la tendenziale mono – committenza;
  • il parziale inserimento del collaboratore nella struttura del committente;
  • la presenza di un corrispettivo fisso a cadenza fissa.

Proprio l’estrema similitudine di questa tipologia con il lavoro dipendente ha esposto, negli anni, i rapporti di collaborazione a molti abusi. In poche parole, spesso le aziende anziché assumere un individuo come dipendente lo inquadravano come collaboratore pur trattandolo, di fatto, come un dipendente ed in tal modo evitavano di applicare tutte le norme di protezione del lavoro subordinato (malattia, tutela della gravidanza, minimi contrattuali retributivi, trattamento di fine rapporto, tutela in caso di licenziamento, etc.).

Cos’è il contratto di collaborazione coordinata e continuativa?

Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa non è una tipologia contrattuale prevista dalla legge. La legge, infatti, oltre al contratto di lavoro subordinato, disciplina espressamente il contratto di prestazione d’opera [2] che rappresenta il contratto di consulenza puro, in cui il collaboratore è pienamente autonomo, stabilita l’opera che deve realizzare, di organizzare in piena autonomia tempi e modi di lavoro. Pur non essendoci una norma che lo disciplinasse, l’autonomia negoziale ha prodotto il contratto di collaborazione coordinata e continuativa che già negli anni ’70 era così diffuso da indurre il legislatore a prevedere l’applicazione del processo del lavoro anche in caso di contratto di collaborazione coordinata e continuativa [3]. 

Nel contratto di collaborazione coordinata e continuativa il collaboratore si impegna a collaborare, senza vincolo di subordinazione, con il committente in maniera continuativa e coordinandosi con il committente. L’elemento che differenzia questo contratto dal lavoro dipendente è che in quest’ultimo il lavoratore deve eseguire le direttive che gli vengono impartite mentre il collaboratore deve solo coordinarsi con il committente ma non è un mero esecutore.

Come vedremo nei paragrafi che seguono, pur essendo un collaboratore autonomo, vista la vicinanza sotto molti profili con il lavoro subordinato e considerato l’elevato rischio di abusi nell’uso di queste collaborazioni, la legge ha previsto per i co.co.co. alcuni istituti tipici del lavoro subordinato sul piano fiscale, contributivo ed alcune tutele.

Quanto spetta al collaboratore coordinato e continuativo?

Il collaboratore nell’ambito di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa percepisce un corrispettivo che viene pattuito liberamente dalle parti nel contratto stesso e non deve essere rispettato alcun minimo contrattuale previsto dalla contrattazione collettiva. I CCNL, infatti, si applicano solo ai lavoratori dipendenti e non anche ai collaboratori coordinati e continuativi.

Come viene tassato il reddito del collaboratore coordinato e continuativo?

Ai fini fiscali i redditi percepiti dai co-co-co sono stati considerati:

  • redditi di lavoro autonomo fino al 31 dicembre 2000;
  • redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente dal 1° gennaio 2001.

La riqualificazione fiscale dei redditi di collaborazione ha comportato, a decorrere da tale data, l’applicazione di tutti gli istituti tipici del rapporto di lavoro dipendente, quali ad es. le diverse norme di definizione della base imponibile [4].

L’azienda deve versare i contributi ai co.co.co.?

Mentre i lavoratori autonomi provvedono da soli al pagamento dei propri contributi previdenziali alla propria gestione previdenziale di riferimento, nel caso dei co.co.co. il contributo previdenziale dovuto alla Gestione Separata dell’Inps è per 2/3 a carico del committente e per 1/3 a carico del collaboratore. L’obbligo di versamento compete tuttavia al committente anche per la quota a carico del lavoratore, che viene pertanto trattenuta in busta paga all’atto della corresponsione del compenso. Ai fini di una corretta applicazione dell’aliquota, il committente deve inoltre acquisire dal lavoratore apposita dichiarazione sulla sua situazione contributiva. Il versamento va effettuato con mod. F24 ed il termine di scadenza è il giorno 16 del mese successivo a quello di pagamento del compenso.

Cosa rischia l’azienda che assume un co.co.co.?

Nel diritto la sostanza prevale sempre sulla forma. Ciò significa che se l’azienda assume un collaboratore coordinato e continuativo e lo tratta come un dipendente allora il collaboratore potrà agire di fronte al giudice del lavoro e chiedere che venga dichiarata la natura subordinata del rapporto di collaborazione con tutte le conseguenze del caso e, in particolare:

  • se il committente ha esercitato il recesso dal contratto di collaborazione il collaboratore, chiedendo che venga riconosciuta la natura subordinata del rapporto, potrà impugnare il recesso come licenziamento e chiedere che venga considerato illegittimo con tutte le conseguenze di legge;
  • l’azienda potrà essere condannata a pagare la differenza tra i corrispettivi erogati al collaboratore e la retribuzione che lo stesso avrebbe percepito se fosse stato assunto sin da subito come lavoratore subordinato;
  • l’azienda potrà essere condannata a pagare la differenza tra i contributi versati all’Inps per il collaboratore e i contributi che avrebbe dovuto versare se lo stesso fosse stato assunto sin da subito come lavoratore subordinato.

Si tenga conto che il Jobs Act ha introdotto una norma [5] secondo cui quando i contratti di collaborazione coordinata e continuativa sono rappresentati da collaborazioni personali, continuative ed il committente organizza la prestazione del collaboratore dal punto di vista dei tempi e luoghi di lavoro si applica automaticamente il contratto di lavoro subordinato.

Occorrerà prestare dunque molta attenzione a non inserire stabilmente il collaboratore nell’organizzazione aziendale. Se, infatti, il suo modo di svolgere la prestazione fosse in tutto e per tutto equiparabile ad un dipendente, l’azienda committente correrebbe seri rischi.

note

[1] Art. 2094 cod. civ.

[2] Art. 2222 e ss. cod. civ.

[3] Art. 409 cod. proc. civ.

[4] Art. 51 TUIR.

[5] Art. 2 D. Lgs. n. 81/2015

 

FONTE: https://bit.ly/2B3sUZG

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