L’esercizio “casalingo” della professione evita l’IRAP
Sentenza della Suprema Corte in tema di IRAP
Un avvocato impugnava davanti alla CTP di Torino la cartella di pagamento emessa ai sensi dell’art. 36 bis del D.P.R. 600/73 con cui l’Ufficio chiedeva il pagamento della somma di euro 5.706,00 per omesso versamento IRAP.
L’adita CTP respingeva l’impugnazione con una sentenza poi confermata dalla CTR del Piemonte. Secondo il giudice dell’appello, infatti, non poteva negarsi l’esistenza del presupposto impositivo posto che, a fronte di un complessivo reddito dichiarato di euro 178.803,00, erano stati sostenuti costi per euro 37.033,00. Nella specie il contribuente lavorava per conto di uno studio legale di Milano senza vincoli di orario e di esclusiva e inoltre aveva promiscuamente adibito la propria abitazione a studio; questi elementi (in particolare le spese sostenute per lo svolgimento dell’attività e l’uso di beni strumentali), coordinati dall’interessato per offrire prestazioni professionali, dimostravano l’esistenza di un’organizzazione autonoma finalizzata alla produzione di reddito, con conseguente assoggettabilità del contribuente all’IRAP.
Ebbene, la decisione della CTR è stata annullata senza rinvio dalla Cassazione, in accoglimento del ricorso del professionista.
In motivazione si legge: “Va, invero, rilevato che, per ormai costante e condiviso principio di questa Corte, in tema di IRAP, presupposto per l’applicazione dell’imposta, secondo la previsione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, che ricorre qualora il contribuente sia il responsabile dell’organizzazione ed impieghi beni strumentali, eccedenti per quantità o valore il minimo generalmente ritenuto indispensabile per l’esercizio della professione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui; l’esistenza di un’autonoma organizzazione non deve essere intesa in senso soggettivo, come auto-organizzazione creata e gestita dal professionista senza vincoli di subordinazione, bensì in senso oggettivo, come esistenza di un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, frutto dell’organizzazione di beni strumenti e/o di lavoro altrui (v. tra le tante, Cass. 26161/2011 e Cass. 3664/2007).
Nel caso di specie il contribuente non ha neanche uno studio proprio ma esercita presso la propria abitazione; lo stesso, inoltre, è solo collaboratore di altro studio (la cui eventuale organizzazione è, quindi, irrilevante) ed ha costi per Euro 37.0332, che, se valutati nella loro specificità (Euro 5.026,00 per quote di ammortamento, Euro 1.773,00 per canoni di locazione finanziaria di beni mobili, Euro 1.439,00 per consumi, Euro 9.485,99 per spese locazione immobili, Euro 19.210,00 per altre spese: v. sul punto, anche controricorso), non denotano autonoma organizzazione tale da rendere il cliente assoggettabile all’IRAP.
In conclusione, pertanto, in accoglimento del ricorso, va cassata l’impugnata sentenza, che non si è attenuta ai su esposti principi; non essendo, poi, necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, con l’accoglimento del ricorso introduttivo”.
L’Agenzia delle Entrate è stata condannata al pagamento delle spese processuali.


L’ha ribloggato su Studio Seclì.
"Mi piace""Mi piace"