Lavoro agile, cos’è la nuova tipologia di lavoro. Definizione, pro e contro

A gennaio 2014 l’europarlamentare del Pd Alessia Mosca aveva presentato il progetto di legge sul lavoro agile, ora dopo un anno e mezzo il parlamento italiano potrebbe votare a breve le nuove misure che rendono più flessibile l’organizzazione del lavoro e che varranno solo per i lavoratori dipendenti e non per gli autonomi. Secondo l’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano quasi il 50% delle grandi aziende italiane sta sperimentando lo smart working quest’anno, per le Pmi nel 2015 siamo ancora molto indietro, intorno al 15%.
Ma cos’è il lavoro agile? Quali sono i pro e i contro? In pratica per smart working si intende la possibilità per le aziende di far lavorare fuori dai locali dell’impresa, non per forza tutti i giorni ma anche per uno solo giorno a settimana, i propri dipendenti. Come? Usando dispositivi elettronici e mantenendo lo stesso stipendio, le stesse garanzie assicurative e la stessa tutela della privacy.
I dipendenti interessati lavoreranno dunque in mobilità, da un coworking, da casa, o dovunque si trovino, basta che si raggiungano i target prestabiliti e si assolva ai propri compiti. Contano i risultati, non il luogo di lavoro fisico. Il ddl sul lavoro agile contempla anche gli incentivi fiscali e contributivi che la legge di Stabilità 2016 introduce per la contrattazione di secondo livello (aziendale).
La possibilità di lavorare negli orari e nei luoghi prescelti, riduce magari lo stress lavoro correlato agli spostamenti casa-lavoro e alla logica del capo-ufficio, aumentando la produttività, e può ridurre l’assenteismo, di contro uno dei grossi problemi per l’affermazione del lavoro agile è legato alla sicurezza.
L’impresa che si organizza per lo smart working deve dotarsi di una policy specifica o deve predisporre un contratto integrativo aziendale individuando i carichi di lavoro massimi, cosa non semplice visto che il lavoro agile presuppone l’assenza di un orario di lavoro fisso.
Il lavoratore agile deve essere formato dall’azienda che dovrà elencare i luoghi in cui il lavoratore può svolgere le sue mansioni in sicurezza nella policy aziendale o nell’accordo individuale, individuando al contempo i luoghi e le modalità vietati perché non garantiscono gli standard di sicurezza.
In ogni caso: “Le organizzazioni devono evitare l’errore di farsi trascinare dall’effetto moda, introducendo un cambiamento solo superficiale senza cogliere l’opportunità di ripensare profondamente cultura e modelli organizzativi per liberare nuove energie dalle persone” spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio smart working. In soldoni, il lavoro agile non deve ridursi a un mero maquillage aziendale e i datori di lavoro devono mettersi nelle condizioni di dare davvero fiducia ai propri dipendenti.
L’europarlamentare Alessia Mosca spiega: “Il lavoro smart può essere utilizzato in generale, per tutti i lavori di concetto che non richiedono una presenza fisica nel luogo di lavoro. Chiaramente, i lavori “figli” della rivoluzione digitale si prestano in modo particolare. Questa proposta riguarda il settore privato ma indicazioni simili (anche se non uguali) erano contenute nel Dl Madia. Ci tengo a ricordare, peraltro, che molte PA hanno già attivato progetti sperimentali di smart working: durante la fase di preparazione della legge ci siamo confrontate con la Provincia di Trento, che rappresenta una best practice, ma so che oramai sono sempre di più in tutta Italia”.
Secondo Mosca comunque: “La cosa più importante da veicolare alle aziende italiane è che con questa tipologia di lavoro flessibile a guadagnarci sono sia i dipendenti che i datori di lavoro: i dipendenti guadagnano tempo, flessibilità e probabilmente salute, i datori di lavoro ne guadagneranno in produttività: esistono dati molto chiari su questo, ricavati da esperienze di smart working già attivate in Italia o all’estero”.
Sicurezza, infortunio e malattia Quanto alle prescrizioni in materia di sicurezza sul lavoro, il datore di lavoro deve garantire la tutela della salute e della sicurezza del lavoratore che svolge la propria prestazione lavorativa in modalità di lavoro agile e a tal fine, tenuto conto dell’impossibilità di controllare i luoghi di svolgimento della prestazione lavorativa, il datore di lavoro deve consegnare una informativa periodica, con cadenza almeno annuale, nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alle modalità di svolgimento della prestazione.
Da parte sua, il “lavoratore agile”, per i periodi nei quali si trova al di fuori dei locali aziendali, deve cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro.
Dal punto di vista della tutela infortunistica e per le malattie professionali, il ddl dispone che l’accordo per lo svolgimento di lavoro agile è oggetto della comunicazione obbligatoria di cui all’art. 1, comma 1180 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, la quale dovrà indicare anche la durata dell’accordo e le eventuali variazioni della durata stessa.
Gli infortuni occorsi mentre il lavoratore presta la propria attività lavorativa al di fuori dei locali aziendali e in ambiente scelto dal lavoratore stesso sono tutelati solo se causati da un rischio connesso con la prestazione lavorativa.
Gli infortuni in itinere dal luogo di abitazione a quello – diverso – prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali sono tutelati, nei limiti e alle condizioni di cui all’ultimo comma dell’art. 2 del D.P.R. n. 1124/65, come introdotto dall’art. 12 del D.Lgs. n. 38/00, quando la scelta del luogo della prestazione è dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita, socialmente apprezzabili, con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza.
FONTE: http://bit.ly/1OiUBzj

L’ha ribloggato su Studio Seclì.
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