Che cos’è l’inversione contabile?
Nata per evitare le frodi carosello, l’inversione contabile si è progressivamente estesa a numerosi ambiti: ma di cosa si tratta?
Inversione contabile: cos’è il reverse charge?
L’inversione contabile, anche detta reverse charge, è un meccanismo tributario creato a livello europeo per impedire illecite evasioni Iva: in pratica, consiste nello spostare il pagamento dell’Iva dal soggetto che riceve la fattura a colui che la emette [1]. Il meccanismo è molto simile a quanto avviene per le ritenute d’acconto in cui il debitore dell’imposta diviene il cessionario (o committente se soggetto passivo) il quale dovrà integrare la fattura con l’Iva da versare.
I settori di maggiore applicazione sono l’edilizia, da sempre esposta a frodi Iva, la telefonia, quello dei beni usati, dei rottami e del commercio di oro.
Inversione contabile: come funziona?
Il meccanismo si basa sull’emissione della fattura da parte del cedente o prestatore del servizio, senza indicazione dell’Iva e con indicazione della dicitura “reverse charge” o “inversione contabile”. Tale fattura viene annotata nel registro delle vendite.
Il cessionario, invece, che riceve questa fattura la integra con indicazione dell’Iva e con l’indicazione della dicitura “autofatturazione”, annotandola nel registro delle vendite e anche in quello degli acquisti.
Inversione contabile: cosa produce?
Questo meccanismo produce delle conseguenze:
- a livello di fatturazione: la fattura non dovrà indicare l’Iva per colui che la emette, mentre per colui che la riceve dovrà recare la dicitura “integrazione Iva” con la quota parte di Iva da pagare. La fattura dovrà indicare anche che non c’è addebito d’imposta Iva con la dicitura “reverse charge” o “inversione contabile”; le fatture emesse dal cessionario o committente devono avere indicata la dicitura “autofatturazione”;
- a livello di registrazione contabile: i sistemi informativi dovranno recepire tale modifica. Il soggetto che riceve la fattura dovrà inserire nella stessa l’integrazione dell’Iva e annotarla nel registro degli acquisti ed in quello delle vendite in modo da rendere neutro il tributo.
Facciamo un esempio: ipotizziamo un’operazione di vendita tra due soggetti nella quale l’acquirente è soggetto passivo dell’imposta (nel senso che soddisfa i tre presupposti soggettivo, oggettivo e territoriale ai fini Iva). La fattura viene emessa per 1.000 euro con codice di esenzione Iva. Il venditore emetterà, quindi, una fattura senza addebito Iva e in contabilità si registrerà il seguente articolo in partita doppia: “credito verso Azienda Alfa a ricavi per cessione di beni/prestazione di servizi”.
Il soggetto acquirente, invece, riceverà una fattura da 1.000 euro ma la registrerà integrandola con l’Iva che ipotizziamo pari al 22%. Egli, quindi, in contabilità registrerà due operazioni: l’acquisto e l’autofattura. In particolare, per l’acquisto redigerà la seguente scrittura in partita doppia: “merci conto acquisti e Iva su acquisti a fornitore esente reverse charge Iva”.
Per l’autofattura, invece, segnerà: “cliente per autofattura a vendite fittizie di merci e Iva su vendite”.
Come si vede, il soggetto acquirente evidenzia l’Iva sia in dare che in avere, neutralizzando così l’operazione. In parole povere, l’ inversione contabile si concretizza nell’emissione dell’autofattura, in modo tale che sia il destinatario a corrispondere l’Iva all’Erario anziché il fornitore.
Ma proviamo a fare un ulteriore passo avanti: immaginiamo per un attimo che nel nostro esempio di prima non si fosse applicato il reverse charge. Ci sarebbe stata una fattura con Iva e sarebbe stata versata al fornitore; quest’ultimo l’avrebbe versata allo Stato mentre l’acquirente l’avrebbe portata in detrazione. Applicando il reverse charge, invece, entrambe queste operazioni vengono effettuate dall’acquirente che addebiterà l’Iva sulla cessione al consumatore finale, il soggetto passivo effettivo dell’imposta.
Inversione contabile: quando si applica?
Si è iniziato a applicare il reverse charge negli scambi comunitari, anche al fine di evitare le cosiddette “frodi carosello”. In Italia, lo si è applicato soprattutto in materia di edilizia e in altri settori come:
- cessioni imponibili di oro da investimento;
- cessioni di materiale d’oro;
- cessioni di prodotti semilavorati o di purezza pari o superiori a 325 millesimi;
- le prestazioni di servizi, compresa la prestazione di manodopera, rese nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili o nei confronti dell’appaltatore principale o di un altro subappaltatore;
- alle cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato per le quali nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione;
- alle cessioni di apparecchiature terminali per il servizio pubblico radiomobile terrestre di comunicazioni soggette alla tassa sulle concessioni governative;
- alle cessioni di personal computer e dei loro componenti ed accessori;
- alle cessioni di materiali e prodotti lapidei, direttamente provenienti da cave e miniere.
[1] Art. 17, co. 5 e 6, d.P.R. n. 633 dell’11.11.1972 (c.d. «decreto IVA»).
FONTE: http://bit.ly/2ln7DDI