Voucher, posso sostituirlo col contratto a chiamata?
Il lavoro a chiamata può sostituire i buoni lavoro o comporta maggiori costi?
Da un momento all’altro, come un fulmine a ciel sereno, sono stati eliminati i voucher: le aziende che li utilizzavano, ora, brancolano nel buio e non sanno di quali contratti possono servirsi, per retribuire quei lavoratori che effettuano prestazioni discontinue, sino alla scorsa settimana pagate con i buoni.
Il lavoro a chiamata sembrerebbe una valida alternativa, in quanto consente di retribuire il lavoratore solo quando effettivamente svolge la sua attività: tuttavia, questa forma contrattuale, rispetto ai voucher, presenta dei notevoli limiti e non può essere utilizzata da tutti.
Vediamo allora, in questa breve guida, come funziona il contratto a chiamata e quali sono i suoi limiti, per capire se è possibile utilizzarlo al posto dei voucher o meno.
Lavoro a chiamata, come funziona
Il contratto di lavoro a chiamata (detto anche lavoro intermittente o job on call) è il contratto con cui un lavoratore si rende disponibile a svolgere una determinata prestazione su chiamata del datore di lavoro [1].
Esistono due distinte tipologie contrattuali di lavoro a chiamata:
- in una il lavoratore ha l’obbligo contrattuale di rispondere alla chiamata del datore di lavoro e ha diritto a un’indennità per i periodi di disponibilità obbligatoria;
- nell’altra non ha l’obbligo di rispondere alla chiamata, ma non ha diritto ad alcuna indennità in assenza di rapporto.
Diversamente dal part-time, nel lavoro intermittente il lavoratore è titolare dei diritti normalmente riconosciuti ai dipendenti solamente nei periodi di effettivo impiego, mentre non è tutelato nei periodi in cui rimane a disposizione del datore di lavoro.
Lavoro a chiamata: per quali attività?
Il lavoro a chiamata è ammesso per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate:
- dai contratti collettivi (nazionali, territoriali o aziendali);
- da appositi decreti ministeriali;
- dalla normativa sull’orario di lavoro, che definisce determinate attività come discontinue (attività dei commessi di negozio, dei receptionist degli alberghi, degli addetti alle pompe di carburante, etc).
Lavoro a chiamata: limiti
Il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un massimo di 400 giornate effettive nell’arco di 3 anni.
Fanno eccezione i settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo.
Se il numero di giornate viene superato il contratto a chiamata si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.
Inoltre, il contratto intermittente può essere stipulato solo da lavoratori:
- con almeno 55 anni di età, anche pensionati;
- che non abbiano ancora compiuto 24 anni; in questo caso le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro i 25 anni.
Lavoro a chiamata: comunicazione di inizio della prestazione lavorativa
L’assunzione del lavoratore a chiamata deve essere comunicata nelle forme ordinarie ai servizi per l’impiego della propria Regione.
Prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni, però, il datore di lavoro è tenuto a comunicarne la durata all’Ispettorato territoriale del lavoro (Itl) competente per territorio.
La comunicazione, similmente a quanto previsto in precedenza per i voucher, può essere effettuata anche nello stesso giorno di inizio della prestazione, purché prima dell’effettivo impiego del lavoratore, utilizzando il modello di comunicazione “Uni-intermittente“.
La comunicazione deve contenere:
- i dati identificativi del lavoratore;
- i dati identificativi del datore di lavoro;
- la data di inizio e fine della prestazione lavorativa cui la chiamata si riferisce.
Il modello deve essere trasmesso secondo una delle seguenti modalità:
- attraverso il servizio telematico sul portale ClicLavoro;
- via e-mail all’indirizzo di Pec appositamente creato (intermittenti@pec.lavoro.gov.it);
- con un Sms (numero 339.9942256) contenente almeno il codice fiscale del lavoratore, esclusivamente in caso di prestazione da rendersi non oltre le 12 ore dalla comunicazione;
- tramite App. Lavoro Intermittente (per smartphone o tablet);
- tramite fax al competente ITL, per malfunzionamento dei sistemi.
Lavoro a chiamata: trattamento economico e normativo
Il lavoratore intermittente ha il diritto di ricevere, per i periodi lavorati, lo stesso trattamento economico e normativo del lavoratore di pari livello, a parità di mansioni svolte.
Il trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, sia per quanto riguarda la retribuzione globale, sia per quanto concerne le ferie, la malattia, l’infortunio e il congedo di maternità e parentale.
Nel dettaglio, al lavoratore deve essere corrisposta una retribuzione oraria maggiorata delle quote di mensilità aggiuntiva.
Lavoro a chiamata: disponibilità
Datore e lavoratore possono accordarsi perché quest’ultimo garantisca la propria disponibilità in caso di chiamata da parte del datore di lavoro. In questa ipotesi, oltre al normale trattamento economico spettante per i periodi lavorati, il lavoratore ha diritto ad un’indennità mensile per i periodi di inattività, la cosiddetta indennità economica di disponibilità.
La misura dell’indennità di disponibilità è stabilita dai contratti collettivi e non può essere inferiore ad un importo fissato con decreto ministeriale (20% della retribuzione mensile prevista dal contratto collettivo nazionale applicato).
L’indennità è divisibile in quote orarie, che si determinano assumendo come coefficiente il divisore orario del contratto applicato; l’indennità è però esclusa dal computo di ogni istituto di legge o contrattuale: difatti, il lavoratore, per tutto il periodo di disponibilità, è titolare solo dell’indennità e non di altri trattamenti retributivi.
Lavoro a chiamata e voucher
Esaminati gli elementi essenziali del contratto di lavoro a chiamata, ci rendiamo conto degli importanti limiti previsti da questo istituto, non presenti invece per i voucher. Innanzitutto, la problematica del limite di età del lavoratore (inferiore a 24 anni o over 55), che restringe notevolmente la platea dei prestatori d’opera. Incide inoltre il limite delle 400 giornate, anche se, ricordiamo, non è applicato in tutti i settori.
A livello di costi, il lavoro a chiamata è sicuramente meno conveniente, in quanto al costo orario si aggiungono le maggiorazioni contrattuali relative alle mensilità aggiuntive; inoltre, durante il periodo di lavoro, come per tutti i dipendenti maturano tfr e ratei ferie-permessi retribuiti.
Per il lavoratore, però, almeno per i periodi di effettiva attività, sono previste le stesse tutele applicate alla generalità dei dipendenti, relativamente alla disoccupazione, alla malattia e alla maternità. Queste tutele, invece, non erano previste per i lavoratori retribuiti con i voucher.
[1] Artt. 13-18 D.Lgs. 81/2015.
FONTE: http://bit.ly/2mo2kVG
L’ha ribloggato su Studio Seclì.
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