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Promessa di assunzione non mantenuta: che posso fare?

Se un’azienda ti promette un posto di lavoro e poi si tira indietro, cosa puoi fare per tutelarti e per farle rispettare la parola data?

Un’azienda ti ha chiamato per un colloquio dilavoro. All’esito, il capo del personale ti ha fatto ben sperare: ti ha detto che, nella loro realtà, c’è bisogno di gente come te, con il tuo profilo professionale, la tua voglia di lavorare e le tue motivazioni. Insomma, a sentire le sue parole il posto è già tuo. A rafforzare la tua convinzione è subentrato anche l’invito a recarti presso i loro uffici per vedere come funziona l’attività. In quella stessa occasione ti è stato chiesto di fare una prova per un paio di giorni e, di buon grado, ti sei messo a disposizione, occupando una scrivania e supportando un tuo futuro collega. Avendo ritenuto scontato l’imminente firma del contratto di lavoro non ti sei messo a sottilizzare sul periodo di «prova», per quanto irregolare dal punto di vista normativo (il patto di prova infatti deve avvenire sempre in forma scritta). Così, felice, hai atteso nei giorni successivi la “chiamata” ufficiale, non presentandoti peraltro agli altri colloqui di lavoro che, nel frattempo, avevi in programma. Senonché l’azienda non si è fatta più viva e, alle tue telefonate, il capo del personale si è negato. Il ripensamento è ormai ufficiale! Demoralizzato e, speranzoso di poter ottenere quantomeno un risarcimento per questo comportamento, ti sei chiesto «che posso fare in caso di promessa di assunzione non mantenuta?». La risposta alla tua più che legittima domanda è contenuta nel codice civile e in alcune sentenze della Cassazione. Vediamo dunque quali tutele riconosce la legge a chi, pur non essendo ancora assunto, ha ricevuto una promessa di un posto di lavoro a seguito della quale l’azienda si è poi tirata indietro. Come far rispettare la parola data?

Il codice [1] stabilisce che, in tutti i contratti, ivi compresi quindi anche quelli di lavoro, le parti, all’atto delle trattative preliminari e nella formazione del contratto stesso, devono comportarsi secondo correttezza e buona fede. Ciascuna di esse deve tutelare quindi l’interesse dell’altro contraente a non essere coinvolto in trattative inutili che potrebbero fargli perdere solo tempo e altre occasioni più serie. La violazione di tale obbligo configura quella che, in gergo tecnico, si chiama «responsabilità precontrattuale», una responsabilità che scatta nonostante non sia mai stato firmato ancora alcun contratto.

Tale responsabilità scatta solo a condizione che le trattative tra le parti giungano ad uno stadio avanzato, tale cioè da far confidare all’altro contraente la conclusione del contratto. Quindi, non basta una semplice e generica promessa, subordinata però a valutazioni ancora da fare o ad accordi ancora da definire, ma è necessario far credere ragionevolmente, e sperare, che il contratto verrà stipulato. In tale ipotesi se una delle parti, senza giusto motivo, interrompe le trattative eludendo le ragionevoli aspettative dell’altra (che è stata indotta a sostenere spese o a rinunciare ad occasioni più favorevoli), quest’ultima ha diritto ad un risarcimento del danno.

Per ottenere il risarcimento è necessario però dimostrare il pregiudizio: la prova delle occasioni perse e dei danni emergenti spetta al dipendente che non è stato assunto nonostante le rassicurazioni. Per quanto riguarda invece la quantificazione e l’entità di tale risarcimento, in assenza di una prova certa, questa potrà avvenire in base a quanto appare equo e giusto al giudice [2] .

A questo punto è necessario fare alcune precisazioni. Capita spesso che il datore di lavoro, prima della conclusione vera e propria del contratto di lavoro, rilasci al lavoratore una lettera di impegno all’assunzione, una sorta di contratto preliminare. In caso di mancato rispetto, da parte del datore di lavoro, della promessa di assumere il lavoratore, quest’ultimo può ricorrere al giudice e chiedere una delle due soluzioni:

  1. l’assunzione forzata (a condizione che la lettera d’impegno contenga tutti gli elementi essenziali del contratto di lavoro);
  2. oppure il diritto al risarcimento del danno [3].

note

[1] Art. 1337 cod. civ.

[2] Cass. sent. n. 24742/2015; n. 1051/2012; n. 15040/2004: «La responsabilità precontrattuale per violazione dell’art. 1337 cod. civ., che costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, la quale si collega alla violazione della regola di condotta stabilita a tutela del corretto svolgimento dell’”iter” formativo del contratto, presuppone che tra le parti siano intercorse trattative per la conclusione di un contratto giunte ad uno stadio tale da giustificare oggettivamente l’affidamento nella conclusione del contratto, inoltre che una delle parti abbia interrotto le trattative così eludendo le ragionevoli aspettative dell’altra, la quale, avendo confidato nella conclusione finale del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o a rinunciare ad occasioni più favorevoli, e infine che il comportamento della parte inadempiente sia stato determinato, se non da malafede, almeno da colpa, e non sia quindi assistito da un giusto motivo.» Ed ancora «La responsabilità precontrattuale derivante dalla violazione della regola di condotta posta dall’art. 1337 cod. civ. a tutela del corretto dipanarsi dell’iter formativo del negozio costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, cui vanno applicate le relative regole in tema di distribuzione dell’onere della prova. Ne consegue che, qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati (come nella specie) dal recesso ingiustificato di una parte (in un contesto connotato dall’affidamento dell’altra parte nella conclusione del contratto), grava non su chi recede la prova che il proprio comportamento corrisponde ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull’altra parte l’onere di dimostrare che il recesso esula dai limiti della buona fede e correttezza postulati dalla norma “de qua”». Pertanto «Non è legittimamente configurabile un’ipotesi di responsabilità precontrattuale tutte le volte in cui la rottura delle trattative e la mancata conclusione del contratto siano state in anticipo programmate, e costituiscano, pertanto, l’esercizio di una facoltà legittima da parte del recedente».

[3] Cass. sent. n. 8889/2003

FONTE: http://bit.ly/2C9lQJ7

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