Il dipendente che presenta la domanda di permesso e non ottiene risposta può avvalersi della regola del silenzio assenso?
Hai richiesto, al tuo datore di lavoro, un permesso per motivi familiari e personali. Non è la prima volta che lo fai in questi ultimi mesi: uno dei tuoi genitori sta male e ha bisogno di cure. Altre volte è toccato a te fare i conti con il medico e con cure impellenti. Insomma, sei mancato dal lavoro diverse volte. In tutte queste occasioni però non ti sei mai assentato senza prima informare il capo e presentare la domanda di permesso. A tuo avviso, dunque, l’assenza non può essere considerata ingiustificata. Ciò nonostante, dopo qualche giorno dall’ultima di queste occasioni, ti arriva una lettera con una contestazione disciplinare. Secondo l’azienda, prima di assentarti, dovevi attendere l’autorizzazione dell’addetto al personale, senza poter desumere che la stessa fosse implicita nel semplice silenzio. Chi ha ragione? Per assentarsi dal lavoro basta chiedere il permesso? La questione è stata decisa da una recente ordinanza della Cassazione [1]. Ecco cosa hanno detto i giudici.
In caso di permessi e assenze dal lavoro, il dipendente ha l’obbligo, quando possibile, di informare in anticipo il datore di lavoro. Laddove ciò non sia possibile, la comunicazione andrà data nel più breve termine possibile e secondo le modalità, anche informali, stabilite dal contratto collettivo nazionale. Il che può succedere, ad esempio, nei casi di malattia improvvisa o di un lutto inaspettato.
La prassi aziendale può dettare delle regole diverse che, tuttavia, non possono imporre al dipendente oneri più gravosi ma, tutt’al più, alleggerirlo.
Detto ciò, secondo la Cassazione, la semplice domanda di permesso non legittima il dipendente ad assentarsi dal servizio senza prima attendere l’autorizzazione formale. Il lavoratore che resta a casa pur avendo richiesto un permesso ma senza aver ottenuto risposta si considera assente ingiustificato. Se non risulta una prassi aziendale ispirata alla regola del silenzio-assenso, la semplice domanda di assentarsi non legittima ad astenersi dal servizio.
Chi viola questa regola, conforme del resto al dovere di buona fede che deve ispirare i rapporti aziendali e, ancor di più, quelli tra dipendente e datore, può essere colpito da una sanzione disciplinare. Nel caso di specie è stata ritenuta congrua, a seguito di una serie di assenze, la sospensione dal soldo e dal servizio per ben un mese.
Se nel privato, come abbiamo detto, è possibile dimostrare che la prassi aziendale ammette delle regole più flessibili, ciò non può succedere nel pubblico impiego: la regola, fissata dalla legge [2], secondo cui la mancata risposta dell’amministrazione equivale ad autorizzazione vale solo per le istanze dei cittadini rivolte alla pubblica amministrazione (ad esempio i permessi in materia edilizia), ma non si può applicare nei rapporti di lavoro. È vero: spetta al datore che licenzia provare la giusta causa o il giustificato motivo così come la condotta che fa scattare la sanzione disciplinare. Ma quando il provvedimento scatta per l’assenza ingiustificata al datore basta provare il fatto oggettivo che il dipendente non fosse in servizio mentre spetta all’incolpato fornire la prova di elementi che possano giustificarlo.
La regola dell’autorizzazione espressa si applica a tutti i tipi di permessi, salvo quelli relativi ad assenze che non possono essere preventivati. La malattia, ad esempio, per sua stessa natura non può essere calendarizzata; ma il dipendente è tenuto a informare il datore della propria assenza il giorno stesso o, al massimo, nelle successive 24 ore, avendo cura in ogni caso di sottoporsi alla visita del medico di famiglia il cui certificato andrà inviato telematicamente all’Inps.
Per quanto riguarda invece il congedo non retribuito per gravi motivi familiari, la legge affida ai contratti collettivi il compito di disciplinare le procedure di richiesta e concessione, anche parziale o dilazionata nel tempo; va assicurato il contraddittorio tra il dipendente e il datore di lavoro e il contemperamento delle rispettive esigenze.
Fino alla definizione del procedimento da parte dei contratti collettivi, il datore di lavoro è tenuto, entro 10 giorni dalla richiesta del congedo, a esprimersi sulla stessa e a comunicarne l’esito al dipendente.
Stesso discorso vale per i permessi relativi all’assistenza di un familiare disabile (previsti dalla legge 104 del 1992). Il datore di lavoro può richiedere al lavoratore che assiste il disabile una programmazione dei 3 giorni di permesso mensile, a condizione che:
- il lavoratore sia in grado di individuare preventivamente le giornate di assenza;
- non venga compromesso il diritto del disabile ad avere una effettiva assistenza;
- tale programmazione segua criteri condivisi con i lavoratori e le loro rappresentanze.
note
[1] Cass. ord. n. 16597/18 del 22.06.2018.
[2] Legge n. 241/1990.
FONTE: https://bit.ly/2tsFsWA