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Calcolo contributi Inps

Ogni volta che un’azienda assume un dipendente e gli paga lo stipendio, sulle somme versate deve pagare i contributi previdenziali ed assistenziali.

Si sente spesso parlare del fatto che in Italia il costo del lavoro è molto alto e che, in particolare, è alto il cosiddetto cuneo fiscale, ossia la differenza tra i soldi netti che il dipendente si porta a casa e il costo complessivo del lavoratore a carico dell’azienda. Il cuneo fiscale finisce per penalizzare sia l’azienda che il dipendente. Il datore di lavoro, infatti, sostiene un costo molto elevato per stipendiare il dipendente. Il lavoratore, dal canto suo, anche se costa molto all’azienda si ritrova in tasca solo una minima parte di quel costo. Uno dei costi maggiori che incide sul costo del lavoro è costituito dai contributi previdenziali ed assistenziali che devono essere pagati dall’azienda all’Inps ed all’Inail. Cerchiamo di capire in che modo si può effettuare il calcolo contributi Inps.

La Costituzione della Repubblica Italiana prevede [1] che ad ogni cittadino spetti il sostegno pubblico qualora egli non riesca a procurarsi da solo le risorse necessarie per vivere e cioè nei casi di inabilità al lavoromalattiainfortuniodisoccupazione involontaria e vecchiaia

In tutte queste ipotesi il cittadino, non potendo guadagnarsi attraverso il lavoro il redditonecessario a vivere, ha diritto al sostegno statale.

Questo principio costituzionale si è tradotto nella messa in campo di un sistema di previdenza pubblica gestito dall’Inps, acronimo di Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.

All’Inps è stato dunque dato il compito di erogare ai cittadini che si trovino in una delle situazione sopra elencate delle provvidenze che consentano loro di vivere.

Chi dà i soldi all’Inps?

L’idea di fondo è di creare una sorta di assicurazione collettiva, che viene posta a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori: per ogni euro che il datore di lavoro paga al dipendente a titolo di stipendio, dovrà essere erogata una certa percentuale all’Inps, in parte a carico del datore di lavoro ed in parte a carico del dipendente. Con tutti questi fondi l’Inps provvederà ad erogare ai lavoratori, nei casi visti sopra, determinate provvidenze.

Da questo nascono i contributi, ossia, i soldi che azienda e dipendente devono versare all’Inps e che si calcolano come percentuale sulla retribuzione erogata al dipendente.

Ai contributi Inps devono essere aggiunti anche i contributi Inail che azienda e dipendente devono versare all’Istituto nazionale infortuni sul lavoro.

I soldi raccolti dall’Inail non servono a pagare le pensioni o la Naspi bensì a pagare le provvidenze relative agli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, sulla falsariga di ciò che accade con una assicurazione privata.

Chi paga i contributi Inps?

Innanzitutto è bene chiarire chi ha l’obbligo di provvedere al pagamento dei contributi Inps.

Da questo punto di vista occorre fare una distinzione a seconda della tipologia di rapporto di lavoro che lega le parti.

Quando siamo in presenza di un contratto di lavoro subordinato, sia esso a tempo determinato o indeterminato, ivi compreso il lavoro alle dipendente delle agenzie di somministrazione di manodopera ed il lavoro intermittente e l’apprendistato, è sempre il datore di lavoro che deve provvedere al pagamento dei contributi Inps.

Come abbiamo detto i contributi sono posti a carico sia dell’azienda che del dipendente. Ebbene, in questi casi, l’azienda deve versare all’Inps sia i contributi a suo carico che la quota a carico del dipendente la quale verrà recuperata dal datore di lavoro attraverso una apposita trattenuta in busta paga.

Il discorso è diverso quando il lavoratore deve versare i contributi all’Inps ma non è legato al datore di lavoro da un rapporto di lavoro subordinato. E’ il caso del libero professionista o del collaboratore a partita Iva. In molti casi (si pensi agli avvocati, ai commercialisti, agli ingegneri) questi soggetti non versano i contributi previdenziali all’Inps ma alle loro rispettive casse di previdenza.

Quando, invece, tali professionisti non hanno una loro cassa di riferimento allora versano i contributi alla gestione separata Inps. Dovranno provvedere da soli a versare i contributi.

Come si pagano i contributi Inps?

I contributi Inps si pagano con modello F24 intestato all’istituto previdenziale. Il datore di lavoro deve comunicare mensilmente all’Inps i contributi previdenziali spettanti all’istituto attraverso il cosiddetto flusso Uniemens. Con questo flusso di fatto l’azienda comunica all’Inps quanti soldi ha pagato in quel mese ai dipendenti a titolo di retribuzione così da ottenere subito l’ammontare dei contributi che devono essere pagati.

Si tenga conto che spesso il datore di lavoro anticipa al dipendente dei pagamenti che in realtà sono a carico dell’Inps.

E’ il caso di, tra gli altri:

Queste provvidenze devono essere pagate al dipendente dall’Inps ma, materialmente, le anticipa il datore di lavoro.

In tutti questi casi, nel flusso Uniemens il datore di lavoro compenserà i contributi che deve versare all’Inps con le somme che deve recuperare per aver effettuato delle anticipazioni su provvidenze a carico Inps. Di fatto, calcolati i contributi Inps dovuti, sottrarrà le somme anticipate e le porterà così in compensazione.

Come calcolare i contributi Inps?

Per calcolare i contributi Inps occorre considerare che tutte le somme erogate ai dipendenti su cui si pagano le tasse sono anche soggette al pagamento dei contributi Inps.

In base alla cosiddetta armonizzazione della base imponibile fiscale e contributiva, tutte le somme che sono assoggettate a tassazione e sulle quali, dunque, il dipendente paga l’Irpef sono automaticamente soggette anche a contribuzione.

La regola generale, dunque, è che tutti i soldi erogati dal datore di lavoro al dipendente sono soggetti al pagamento dei contributi. Ci sono però delle eccezioni che sono, in linea generale, le stesse che valgano anche per il pagamento dell’Irpef. Non dovranno essere, ad esempio, pagati i contributi previdenziali sulle seguenti somme erogate al dipendente (elencazione non esaustiva ma solo esemplificativa):

  • somme erogate al lavoratore a titolo di mero rimborso delle spese vive sostenute dal lavoratore per finalità di lavoro;
  • trattamento di fine rapporto e altre somme erogate, una volta tanto, in occasione della cessazione del rapporto (ad esempio l’eventuale incentivo all’esodo);
  • fringe benefit;
  • indennità di trasferta, per un importo massimo di circa 1.500 euro. Sulla somma eccedente tale limite occorrerà pagare regolarmente i contributi.

Chiarito quali redditi sono imponibili ai fini contributivi, occorre considerare anche che esiste un minimale ed un massimale contributivo.

Il minimale contributivo è la retribuzione minima presa come base di calcolo dei contributi assicurativi e previdenziali che il datore di lavoro deve versare all’Inps per ogni dipendente. Per calcolare il minimale contributivo, di solito, si utilizza il contratto collettivo nazionale di lavoro del settore di riferimento.

Il minimale ha una funzione di tutela per il dipendente: se anche il datore di lavoro, infatti, volesse dargli uno stipendio di 10 euro al giorno, l’azienda dovrebbe comunque pagare i contributi su una somma pari a 47,68 euro.

Il minimale di retribuzione giornaliera sul quale si devono calcolare i contributi di pensioneè di 47,68 euro e tale somma viene rivalutata ogni anno.

Oltre al minimale contributivo esiste anche il massimale contributivo, ossia, il tetto retributivooltre il quale la retribuzione percepita non è sottoposta a contribuzione previdenziale [2].

Per il 2019, in base all’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati calcolato dall’Istat, il massimale è pari a 102.542,78 euro, che arrotondato all’unità di euro è pari a 102.543 euro [3].

In pratica, se Tizio guadagna 150.000 euro annui i contributi devono essere pagati solo su 102.543 euro mentre sui restanti euro 47.500 circa non dovranno essere pagati i contributi previdenziali.

Chiarito qual è il minimale ed il massimale contributivo, i contributi si calcolano applicando sulla retribuzione del dipendente l’aliquota contributiva che varia a seconda del settore diimpiego e della categoria di inquadramento del dipendente (quadri, impiegati, operai).

Per calcolare i contributi in relazione alla retribuzione pattuita, l’Inps mette a disposizione di datori di lavoro e lavoratori un software di simulazione del calcolo accessibile con il servizio denominato “Simulazione Calcolo Contributi”. Basta inserire i dati richiesti nei campi previsti e cliccare sulla freccia Avanti per ottenere, al termine dell’inserimento dati, il calcolo dei contributi che il datore di lavoro dovrà versare mensilmente.  Per accedere al servizio basta seguire il link.

In linea generale l’aliquota contributiva posta  a carico del lavoratore si aggira intorno al 9/10% mentre l’aliquota contributiva posta a carico del datore di lavoro arriva al 25/30%.

Queste sono le regole generali ma occorre considerare che spesso, per agevolare determinati tipi di assunzione di personale, intervengono delle specifiche norme di legge che prevedono una riduzione degli oneri contributivi oppure, come avvenuto con la decontribuzione per i nuovi assunti nel 2015, il totale azzeramento per un certo periodo di tempo dei contributi previdenziali a carico delle aziende in caso di nuove assunzioni.

Anche attualmente ci sono delle forme di riduzione dei contributi per particolari tipologie di assunzioni. In particolare tali agevolazioni riguardano chi assume al Sud o categorie di persone a rischio di esclusione dal mercato del lavoro, come i giovanissimi e gli anziani.

Per questo è sempre opportuno essere aggiornati sulle misure adottate dai vari Governi nei confronti del costo del lavoro.

note

[1] Art. 38 Cost.

[2] L. n. 335/1995.

[3] Circolare Inps n. 6 del 25.01.2019

FONTE: https://bit.ly/2H6pmdv

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