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Posso assumere un dipendente di un concorrente?

Il mercato del lavoro italiano è un mercato del lavoro libero. Tuttavia, in alcuni casi, l’acquisizione del personale di una società concorrente può integrare una fattispecie di concorrenza sleale.

Tutti i lavoratori hanno diritto di verificare se, nel mercato del lavoro, possono reperire delle condizioni di impiego migliori rispetto a quelle che hanno attualmente. Tuttavia, occorre considerare che, in alcuni casi, il passaggio di personale da una società ad un’altra che opera nello stesso settore di riferimento può essere considerata una fattispecie di concorrenza sleale. Dunque, è legittimo chiedersi: quando posso assumere un dipendente di un concorrente?

Come vedremo, nei casi in cui viene accertata la commissione di un atto di concorrenza sleale, possono scattare delle conseguenze sanzionatorie per la società che ha posto in essere il predetto comportamento.

Lavorare in un’impresa concorrente: è legittimo?

Il nostro ordinamento prevede la libertà delle parti del rapporto di lavoro di recedere dal rapporto di lavoro stesso rispettando le regole previste dalla legge. Il lavoratore ha, senza dubbio, sempre e comunque la possibilità di dimettersi volontariamente dal rapporto di lavoro quando ritiene di non voler più proseguire la collaborazione professionale.

La legge [1] prevede, tuttavia, che il lavoratore non possa dimettersi in tronco ma che debba, al contrario, dare al datore di lavoro un periodo di preavviso che viene calcolato tenendo a riferimento ciò che afferma il contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro. Il lavoratore è, dunque, libero di dimettersi salvo il preavviso.

Ulteriori limitazioni alla facoltà di recesso del lavoratore possono derivare dal fatto che il lavoratore ha sottoscritto un patto di stabilità nel rapporto di lavoro. Il patto di stabilità è una clausola in base alla quale le parti del rapporto si impegnano a non recedere dal contratto di lavoro prima che sia decorso un determinato periodo di stabilità. In questo caso le dimissioni rese nel periodo di stabilità sono illegittime.

Un’altra ipotesi in cui il lavoratore non è libero di dimettersi ante tempus è il caso del contratto di lavoro a tempo determinato. Infatti, in questa tipologia contrattuale, le parti hanno deciso di fissare in anticipo la data finale del rapporto e la previsione di tale termine rende illegittimo il recesso ante tempus.

In questa ipotesi, la parte che dovesse recedere dal rapporto violando il patto di stabilità o il termine inserito nel contratto di lavoro si espone al rischio di dover risarcire il danno alla controparte. Fatte queste eccezioni il lavoratore è sempre libero di dimettersi. Molto spesso la scelta del lavoratore di dimettersi deriva dal fatto che egli ha ricevuto un’offerta migliore da parte di una società concorrente con quella per la quale lavora e quindi dalla volontà di addivenire ad una migliore condizione di impiego.

Che cos’è lo storno dei dipendenti?

In alcuni casi, il fisiologico passaggio di lavoratori da una società ad un’altra integra una fattispecie di concorrenza sleale. La disciplina normativa della concorrenza sleale [2] prevede, infatti, che una delle modalità con le quali si può porre in essere la concorrenza sleale tra imprese e lo storno dei dipendenti.

La disciplina normativa della concorrenza sleale è volutamente generica e non potrebbe essere diversamente.

La giurisprudenza richiede che, per esserci concorrenza sleale tramite storno di dipendenti, debba esserci il cosiddetto animus nocendi, ovvero, l’intenzione del nuovo datore di lavoro di danneggiare l’azienda stornata. Data la genericità della disciplina legale, sono stati i giudici, nell’esaminare i casi concreti che sono stati sottoposti loro, ad individuare gli elementi della fattispecie concreta che lasciano presumere la volontà dell’azienda stornante di danneggiare l’azienda stornata.

In particolare, i seguenti indici sono tipici della concorrenza sleale per storno di dipendenti:

  • l’elevato numero di dipendenti che passano alle dipendenze dell’azienda concorrente;
  • l’elevata professionalità dei dipendenti stornati;
  • la strategicità dei dipendenti stornati nell’ambito dell’organizzazione aziendale dell’azienda stornata;
  • le difficoltà operative dell’azienda stornata nel garantire la propria continuità aziendale a causa dell’assenza dell’apporto professionale dei dipendenti stornati;
  • il fatto che l’azienda che ha stornato i dipendenti fosse consapevole che questi erano legati all’azienda stornata da patti di non concorrenza;
  • il fatto che i dipendenti stornati non abbiano rispettato i termini di preavviso di dimissioni previsti dai relativi contratti collettivi nazionali di lavoro;
  • la repentinità con cui è venuto lo storno.

Quando questi elementi sono integrati potremmo essere di fronte ad una fattispecie di concorrenza sleale per storno di dipendenti.

Concorrenza sleale per storno di dipendenti: quali conseguenze?

L’azienda che ha subito lo storno di dipendenti può agire in giudizio contro l’azienda che ha operato lo storno e chiederne il la condanna al risarcimento del danno arrecato. Per quanto concerne la quantificazione del danno subito dall’azienda stornata assistiamo ad una pluralità di criteri adottati dalla giurisprudenza:

  1. alcune sentenze quantificano il danno subito dall’azienda che ha subito lo storno sulla base della perdita di esercizio riportata dall’azienda stessa nell’anno successivo allo storno;
  2. alcune sentenze quantificano il danno in una percentuale della retribuzione annua lorda dei dipendenti stornati;
  3. altre decisioni quantificano il danno parametrandolo alle spese sostenute dall’azienda stornata per le operazioni di reclutamento del personale rese necessarie dall’uscita dei dipendenti.

Non esiste, dunque, un criterio univoco nella quantificazione del danno e, molto spesso, si fa ricorso all’equità del giudice.

Storno di dipendenti e patto di non concorrenza

Occorre inoltre considerare che, in alcuni casi, lo storno di dipendenti crea una situazione di conflitto non solo tra l’azienda che ha operato lo storno e l’azienda che lo ha subito, ma anche tra l’azienda che ha subito lo storno e i suoi ex-dipendenti.

Questo accade, in particolare, quando i dipendenti l’ex datore di lavoro erano vincolati da un patto di non concorrenza [3]. Con il patto di non concorrenza, infatti, un lavoratore si impegna nei confronti del suo datore di lavoro a non operare in concorrenza con lui anche nel periodo successivo alla cessazione del rapporto. L’entità temporale, l’estensione geografica e l’oggetto della limitazione dipendono dal contenuto del patto di non concorrenza.

Può, dunque, accadere che il passaggio da un datore di lavoro ad un altro in concorrenza con il primo possa anche rappresentare una violazione del patto di non concorrenza.

In questo caso, l’azienda stornata, oltre che agire nei confronti dell’azienda che ha operato lo storno per il risarcimento del danno da concorrenza sleale, potrà agire anche nei confronti dei suoi ex-dipendenti e chiedere il risarcimento del danno determinato dalla violazione del patto di non concorrenza. Anche in questo caso il risarcimento del danno può essere parametrato a vari criteri.

Talvolta, il patto di non concorrenza prevede una penale contrattuale, ovvero , una somma predeterminata che deve essere erogata dalla parte che viola il patto alla parte che subisce tale violazione.

In questo caso, l’azienda che ha subito lo storno di dipendenti può agire in giudizio contro i suoi ex dipendenti e chiedere la loro condanna al pagamento della somma prevista come penale contrattuale all’interno del patto di non concorrenza. In altri casi, invece, la penale contrattuale non è prevista. Si dovranno, dunque, seguire le regole generali relative alla quantificazione del danno, ed alla relativa prova, per stabilire quale è  stato il danno cagionato dalla violazione del patto di non concorrenza.

Inoltre, l’azienda potrà chiedere ai suoi ex dipendenti la restituzione degli importi ricevuti a titolo di corrispettivo per il patto di non concorrenza stesso.

Storno di dipendenti: la giurisprudenza recente

Di recente, la Corte di Cassazione [4] è tornata ad occuparsi della problematica della concorrenza sleale tramite storno di dipendenti. In questo caso, in particolare, una nota società aveva acquisito una serie di dipendenti addetti all’area commerciale di una società concorrente ed aveva offerto loro delle condizioni di impiego migliorative rispetto al precedente rapporto di lavoro.

Il passaggio dei dipendenti è stato particolarmente sgradito alla società oggetto di storno anche considerando il fatto che i lavoratori erano addetti all’area commerciale e potevano, dunque, conoscere delle informazioni commerciali (come ad esempio la clientela) che l’ex datore di lavoro voleva custodire gelosamente.

La società che si era vista soffiare i dipendenti aveva dunque deciso di agire in giudizio per chiedere la condanna della società concorrente al risarcimento del danno da concorrenza sleale.

La Corte di Cassazione, dopo aver ricordato quali sono gli elementi che devono sussistere al fine di considerare il passaggio di dipendenti da una società ad un’altra un atto di concorrenza sleale, ha ritenuto che, nel caso di specie, il passaggio fosse stato del tutto fisiologico e legittimo in quanto non erano stati provati nè l’animus nocendi nè che, nel caso specifico, le modalità di passaggio del personale avessero i caratteri della concorrenza sleale per storno di dipendenti.

In particolare, la Cassazione ha ribadito che, per avere concorrenza sleale, devono ricorrere i seguenti elementi:

  • l’attività distrattiva delle risorse di personale dell’imprenditore deve essere posta in essere dal concorrente con modalità tali da rivelare l’intento di danneggiare il concorrente;
  • tali operazioni devonoe essere realizzate in violazione dei principi di correttezza professionale;
  • occorre prestare attenzione alle modalità del passaggio dei dipendenti.

Elementi considerati non sussistenti nel caso specifico esaminato.

note

[1] Art. 2118 cod. civ.

[2] Art. 2598, lettera 3 cod. civ.

[3] Art. 2125 cod. civ.

[4] Cass., ordinanza n. 3865 del 17.02.2020.

 

FONTE: https://bit.ly/2AaCNqJ

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