Che significato dare a un contratto quando le espressioni o le parole sono equivoche e creano fraintendimenti o interpretazioni differenti tra i contraenti? Le regole del codice civile.
Se ti stai chiedendo come interpretare un contratto già firmato è probabilmente perché quello che un tempo ti sembrava chiaro e trasparente, ha mostrato delle zone d’ombra, frutto di fraintendimenti ed equivoci. Non devi disperare: nel momento in cui si scrive un contratto, è impossibile prevedere in anticipo ogni questione potenzialmente verificabile in futuro tra i contraenti. È proprio questa, del resto, la ragione per cui il contratto usa di solito una terminologia generale: in modo da disciplinare tutte le possibili fattispecie che potrebbero realizzarsi. Ma si sa, la realtà è multiforme e nessuno ha la sfera di cristallo. Per cui, quando il contratto non regolamenta – o lo fa in modo non chiaro – una determinata situazione in modo specifico, è necessario interpretare il contratto e verificare quella che era la comune intenzione delle parti al momento della sua firma.
Per quanto, nella maggior parte dei casi, la legge non richieda un contratto scritto per regolare gli interessi tra due o più soggetti, è proprio per evitare equivoci e “dimenticanze” che si ricorre alla scrittura privata (chiamata così perché redatta da soggetti privati, senza cioè l’assistenza di un pubblico ufficiale).
A scrivere i contratti dovrebbero essere professionisti esperti che, nell’ambito della loro esperienza, conoscono tutte le possibili liti che si verificano in una determinata disciplina. Ecco perché copiare un contratto già concluso da altri soggetti o scaricare un modello da internet è assolutamente sconsigliabile. Peraltro anche il contratto più preciso può, in futuro, porre dinanzi a dubbi interpretativi. Si pensi a una determinata parola che per i due firmatari ha un significato e una portata differente o a una frase scritta in modo molto complicato e contorto che può dar adito a differenti spiegazioni: come ci si regola in tali casi? Ebbene, la risposta è scritta nel codice civile e, più di recente, in una sentenza della Cassazione [1]. Ma procediamo con ordine.
Che fare quando si creano equivoci sul testo di un contratto?
Il codice civile prevede la possibilità che, dopo aver firmato un contratto, le parti possano trovarsi dinanzi alla difficoltà di stabilire quale tra due o più interpretazioni sia quella corretta. Il che succede o quando il testo non è sufficientemente chiaro oppure quando la terminologia è talmente generale da sfuggire a una identificazione delle fattispecie concrete.
In questo caso, sorgerà un conflitto e, molto probabilmente, i contraenti si rivolgeranno a un giudice (ossia si faranno causa) perché stabilisca quale sia l’interpretazione più corretta da dare al contratto. Il magistrato sarà allora chiamato a rispettare un ordine di regole, previste dal codice civile, che indicano come procedere nell’individuare il senso più corretto alla contratto. Ecco tali regole.
Il significato che le parti hanno voluto dare al contratto
Innanzitutto il contratto – recita il codice civile [2] – deve essere interpretato in modo da ricercare quella che era la comune intenzione delle parti al momento della sua firma.
Tale ricerca parte ovviamente dal significato letterale delle parole. Ma non si può fermare ad esso (spesso succede, infatti, che chi redige una scrittura può esprimersi in modo non perfetto, dando luogo a fraintendimenti). Bisogna andare oltre e verificare anche cosa le parti hanno, in cuor loro, inteso con una determinata dizione, il che si evince spesso dal comportamento che hanno tenuto sia prima che dopo la firma del contratto.
La norma recita così:
«Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole.
Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto».
Il che significa che, nell’interpretazione del contratto, il giudice deve valutare la volontà comune delle parti: l’interprete non deve limitarsi al senso letterale che emerge dalle parole adoperate, ma deve valutare anche il comportamento complessivo delle parti.
La Cassazione chiarisce a sua volta: la comune volontà dei contraenti, nell’ambito dell’interpretazione di un contratto, deve essere desunta sia tramite il criterio letterale sia attraverso l’esame del comportamento delle parti, anche successivo alla stipulazione. Il dato testuale, quindi, anche se fondamentale, non è, di per sé, decisivo, dovendosi considerare tutti gli ulteriori elementi, sia testuali che extratestuali, indicati dal legislatore. Un’espressione prima facie chiara, infatti, può non esserlo più se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti.
In sintesi, il significato che le parti hanno voluto dare al contratto si rintraccia in due modi:
- innanzitutto dal senso letterale delle parole usate,
- ma anche dal comportamento tenuto dalle parti sia prima che dopo la stipula del contratto
Interpretazione sistematica
In caso di dubbio persistente, bisogna procedere alla interpretazione della singole clausole per mezzo delle altre clausole contrattuali, attribuendo ad ognuna il significato che risulta dal complesso dell’atto.
La norma del codice [3] chiarisce che:
«Le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto».
Questo significa che, se in una singola clausola, un parola può avere un determinato significato, bisogna verificare se, leggendo il resto del contratto, questa interpretazione venga confermata o invece sconfessata. Potrebbe ben essere che, ad esempio, in un’altra clausola a quella parola venga accordato un senso differente.
Espressioni generali
Nel dubbio, bisogna presumere che le espressioni generali usate nel contratto siano in realtà rivolte all’oggetto del contratto. In altre parole, per quanto le espressioni usate nel testo contrattuale siano generali, non bisogna mai perdere di vista gli interessi che le parti intendono realizzare con il contratto.
La norma del codice civile [4] dice che:
«Per quanto generali siano le espressioni usate nel contratto, questo non comprende che gli oggetti sui quali le parti si sono proposte di contrattare».
Gli elenchi non sono esaustivi
Il codice civile continua nell’indicare le regole per interpretare il contratto e dice [5]:
«Quando in un contratto si è espresso un caso al fine di spiegare un patto, non si presumono esclusi i casi non espressi, ai quali, secondo ragione, può estendersi lo stesso patto».
In pratica, se nel contratto vengono indicati dei casi pratici al fine di spiegare un patto, si presume che siano inclusi nel patto anche altri casi non espressi ai quali può estendersi lo stesso patto. Questa norma consente di ampliare la portata (interpretazione estensiva) di clausole contrattuali che contengono alcuni esempi esplicativi di una disposizione del contratto: questi non esauriscono tutti i casi che rientrano nella previsione contrattuale.
Si pensi al caso in cui si stabilisce le possibilità in cui il padrone di casa possa entrare nel proprio appartamento in caso di grave rischio e venga indicato, ad esempio, il mal funzionamento della caldaia, le infiltrazioni di acqua e la crepa su di un muro; benché non espressamente previsto nel contratto, ben si potrebbe consentire al locatore di accedere anche nel caso di un guasto all’impianto elettrico
La buona fede
Nel caso in cui, nonostante l’applicazione delle regole appena viste, rimangano dei dubbi sull’interpretazione del contratto e, quindi, su quella che era la comune intenzione delle parti al momento della sua stipula, bisogna passare a ulteriori regole (dette «interpretazione oggettiva» per distinguerla dall’«interpretazione soggettiva» – di cui abbiamo appena parlato – rivolta a cercare quello che le parti potevano aver inteso).
Ma prima bisogna tenere conto di un fatto fondamentale: il contratto va sempre interpretato secondo buona fede [6]. Questa norma è intesa come generale dovere di correttezza e di reciproca lealtà di condotta nei rapporti tra soggetti. Si tratta di una regola interpretativa residuale e sussidiaria per la quale le dichiarazioni e i comportamenti di ogni parte devono essere interpretati secondo il significato attribuito dalla controparte in base all’interpretazione corrente nella pratica.
Le parole devono avere un effetto
Si passa quindi alla regola della cosiddetta interpretazione utile: nel dubbio il contratto o le sue singole clausole, devono interpretarsi in modo che abbiano qualche effetto piuttosto nel modo in cui non ne avrebbero nessuno.
Il codice stabilisce che [7]:
«Nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno».
Tale criterio di interpretazione del contratto è sussidiario, nel senso che scatta soltanto se il senso delle parole usate nella scrittura privata rimane oscuro nonostante l’applicazione delle regole interpretative stabilite dagli articoli precedenti. Esso comporta che, ove il contratto o la singola clausola possa interpretarsi in due sensi, di cui uno soltanto produca effetti giuridici, deve preferirsi quest’ultimo.
Pratiche generali
Le clausole ambigue devono interpretarsi secondo le pratiche generali in uso nel luogo di conclusione del contratto.
Nel codice si legge [8]:
«Le clausole ambigue s’interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso.
Nei contratti in cui una delle parti è un imprenditore, le clausole ambigue s’interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui è la sede dell’impresa».
Si tratta dei cosiddetti usi interpretativi, cioè quei comportamenti dai quali è possibile ricavare il significato che individui di un certo luogo danno nella pratica a clausole di per sé ambigue.
Il ricorso alle abitudini locali in tema di affari si giustifica per il fatto che normalmente il contratto si adegua al significato che gli viene riconosciuto in un dato ambiente socio-economico.
Il senso conforme al contratto
Le espressioni con più sensi devono interpretarsi, nel dubbio, nel senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto.
Il codice recita così [9]:
«Le espressioni che possono avere più sensi devono, nel dubbio, essere intese nel senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto».
Questa è chiamata la regola della interpretazione funzionale: le espressioni con più sensi devono interpretarsi adeguandole alla funzione economico-sociale di quel tipo di contratto.
Moduli e formulari
Arriva il momento di interpretare i contratti redatti su moduli o formulari. Avete presente quando entrate in un negozio per acquistare un abbonamento a una compagnia telefonica e l’agente vi chiede di mettere una serie di firme su un modellino già prestampato, di cui probabilmente non leggerete mai il testo? Ecco, siamo in presenza di un «modulo o formulario» per come inteso dal codice civile. In questo caso c’è sempre un soggetto che ha scritto unilateralmente il contratto, senza concordarlo con l’altra parte, mentre quest’ultima lo subisce: nel senso che deve accettare il testo così com’è, senza possibilità di interferire o di cambiarlo, anche solo in una minima parte. Succede con le grosse società commerciali, che hanno esigenza di regolare in modo uniforme tutti i rapporti economici con le migliaia di clienti sparsi sul territorio. In questi casi, dunque c’è una regola specifica dettata dal codice: le clausole inserite in moduli o formulari o in condizioni generali di contratto, nel dubbio devono essere interpretate a favore del contraente che non l’ha inserite.
La norma recita così:
«Le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti s’interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro».
La norma esprime l’esigenza di tutelare la parte contraente più debole (il soggetto che si limita ad aderire al regolamento contrattuale predisposto dalla controparte) interpretando le clausole ambigue a suo favore.
Regole finali
Le norme sulla interpretazione del contratto si chiudono con la seguente regola che si applica nel caso in cui nemmeno con l’applicazione delle norme predette si sia riusciti nella interpretazione. Qui si distinguono i contratti a titolo gratuito da quelli a titolo oneroso:
- contratti a titolo gratuito: il contratto, nel dubbio, deve essere interpretato nel senso meno oneroso per obbligato;
- contratti a titolo oneroso: il contratto, nel dubbio, deve essere interpretato nel modo che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti.
Nei contratti a titolo gratuito si privilegia la posizione dell’obbligato, dal momento che questi non riceve alcun compenso per il suo sacrificio economico.
Nei contratti a titolo oneroso, si considerano alla stessa stregua gli interessi delle parti, poiché al vantaggio economico di ognuna corrisponde un sacrificio economico (interpretazione equitativa).
LA SENTENZA
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 13 settembre – 1 dicembre 2016, n. 24560
Presidente Di Cerbo – Relatore Manna
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 10.7.13 la Corte d’appello di Roma, in totale riforma della sentenza di rigetto (n. 1404/10) del Tribunale di Velletri, dichiarava illegittimo il recesso intimato l’11.7.05 da C.F. S.p.A. al dirigente in prova T.G. e, per l’effetto, la condannava a pagargli la complessiva somma di Euro 293.154,71 oltre rivalutazione e interessi, a titolo di indennità sostitutiva del preavviso e sua incidenza sul TFR, indennità supplementare ex art. 19 CCNL dirigenti aziende industriali, 50% del premio di incentivazione e rimborso spese.
Per la cassazione della sentenza ricorre C.F. S.p.A. affidandosi a cinque motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..
T.G. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1- Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha interpretato il patto di prova semestrale contenuto nel contratto individuale di lavoro stipulato fra le parti come decorrente dal 10 anziché
dal 13 gennaio 2005 e, di conseguenza, ha giudicato tardivo il licenziamento intimato con lettera pervenuta all’indirizzo del dirigente l’11 luglio 2005: obietta in proposito la società ricorrente che, sebbene nel documento di assunzione si facesse decorrere il termine semestrale di prova dal 10 gennaio 2005, nondimeno il rapporto medesimo era poi in concreto cominciato solo il 13 gennaio a cagione dell’indisponibilità del precedente datore di lavoro a lasciare libero prima di tale data T.G. . Pertanto – conclude il motivo – i sei mesi di prova scadevano il 13 luglio 2005, termine rispetto al quale la lettera di licenziamento per mancato superamento della prova, pervenuta l’11 luglio al dirigente, era da considerarsi tempestiva.
Il secondo motivo prospetta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1335 c.c. nella parte in cui la gravata pronuncia ha ricollegato gli effetti del recesso alla data di ricezione della relativa lettera anziché a quella di sua spedizione.
Con il terzo motivo ci si duole di omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, consistito nell’essere stato il licenziamento per cui è causa già comunicato a T.G. in forma orale fin dal 1 luglio 2005, come confermato dai testi L. e C. , circostanza decisiva atteso che il licenziamento del lavoratore in prova non è assoggettatoalla forma scritta.
Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 2909 c.c. e 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale riconosciuto a T.G. , a titolo di rimborso spese, la somma di Euro 865,29 nonostante che si trattasse di domanda rigettata dalla sentenza di primo grado e non coltivata in appello con apposita censura.
Il quinto motivo prospetta violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale riconosciuto in favore di T.G. anche Euro 20.000,00 pari al 50% del premio di incentivazione previsto dall’art. 5 del contratto individuale, nonostante che sia nell’atto introduttivo di lite che in quello di appello il lavoratore lo avesse chiesto nell’importo totale pari a Euro 40.000,00 e non nella minore somma accordatagli dai giudici del gravame.
2- Il primo motivo è fondato.
L’errore in cui è incorsa la pronuncia impugnata consiste nell’aver valorizzato, nell’interpretare il tenore del patto semestrale di prova, esclusivamente il riferimento alla data di scadenza del periodo di prova, individuata in quella del 9.7.05, senza valutare che tale ultima data era stata espressamente indicata come conseguenza d’un inizio del rapporto di lavoro concordato al 10.1.05, come testimoniato dall’uso, nella medesima dichiarazione negoziale, della congiunzione “pertanto“.
Invece, l’art. 1362 c.c. richiede che iltenore letterale sia interpretato nella sua interezza e alla luce della comune intenzione delle parti e del loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto.
In altre parole la Corte territoriale, chiamata ad accertare se la volontà delle parti era sempre e comunque quella di dare prevalenza alla durata semestrale della prova oppure quella di far sì che la stessa ad ogni modo non valicasse in nessun caso la data ultima del 9.7.05, avrebbe dovuto tenere conto del contratto nella sua intera formulazione nonché del comportamento delle parti anche successivo ad esso, fra cui il concreto inizio del rapporto de quo a partire dal 13.1.05 (come sostenuto dalla società ricorrente), senza fermarsi al mero e, per di più, parziale – dato letterale.
In breve, nell’ottica dell’art. 1362 c.c. la comune intenzione delle parti desunta dal loro comportamento anche successivo al contratto è un criterio integrativo di quello letterale (nel senso che serve a chiarirlo), non già ad esso alternativo o, peggio, sussidiario.
Dunque, va data continuità alla giurisprudenza di questa S.C. (cfr., e pluribus, Cass. n. 261/06) secondo cui, nell’interpretazione del contratto, il dato testuale, pur assumendo un fondamentale rilievo, non può essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione del contenuto dell’accordo, giacché ilsignificato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo; quest’ultimo, a sua volta, non può arrestarsi alla ricognizione del tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé chiare e non bisognose di approfondimenti interpretativi.
Infatti, un’espressione prima facie chiara può non apparire più tale se collegata ad altre contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti.
In breve, tali due criteri concorrono fra loro in via paritaria (cfr., ex aliis, Cass. n. 12758/93) nel definire la comune volontà delle parti. Non è esatto porli in competizione o in relazione gerarchica.
È, invece, quello che ha fatto la sentenza impugnata, nel momento in cui ha asserito che sulla formale e successiva regolarizzazione del rapporto debba prevalere la volontà esplicitata nel documento e, in particolare, solo nella parte in cui individuava lo spirare della prova alla data del 9.7.05, senza esaminare la relazione fra il termine semestrale poco innanzi pattuito e l’individuazione di tale data, connessi dalla congiunzione “pertanto“.
3- L’accoglimento del primo motivo assorbe la disamina del secondo e del terzomezzo.
4- Il quarto motivo va disatteso: la sentenza impugnata dà atto che T.G. ha coltivato in secondo grado le stesse conclusioni formulate nell’atto introduttivo del giudizio, il che pure la società ricorrente riconosce. Pertanto, l’eventuale assenza di specifico motivo di impugnazione – ove pure, in ipotesi, esistente – si sarebbe dovuta denunciare come error in procedendo per mancata declaratoria di inammissibilità, sul punto, dell’appello per violazione dell’art. 434 c.p.c., non già come vizio di extrapetizione.
5- Il quinto motivo è infondato. Non incorre in vizio di ultrapetizione la sentenza che accolga una data domanda per un importo inferiore a quello richiesto, essendo quest’ultimo implicitamente ricompreso nel maggior ammontare.
6- In conclusione, va accolto il primo motivo, con assorbimento del secondo e del terzo, mentre vanno rigettati il quarto e il quinto. Per l’effetto, si cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e si rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà interpretare il patto di prova alla luce dell’intero testo negoziale e della comune intenzione delle parti come desumibile dal loro comportamento anche successivo alla conclusione del contratto, in esso compreso il momento di effettivo inizio del rapporto lavorativo, attenendosi alseguente principio di diritto:
“Nell’interpretazione del contratto il criterio letterale e quello del comportamento delle parti anche successivo al contratto medesimo (v. art. 1362 c. c.) concorrono fra loro in via paritaria a definire la comune volontà dei contraenti. Ne consegue che il dato testuale, pur di fondamentale rilievo, non è di per sé decisivo, atteso che il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo. Quest’ultimo non può arrestarsi alla ricognizione del tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extra testuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé chiare e non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un’espressione prima facie chiara può non apparire più tale se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti“.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, dichiara assorbiti il secondo e il terzo, rigetta il quarto e il quinto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
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