Vietato copiare da Facebook e dai siti internet
Concorrenza parassitaria per chi copia le strategie commerciali e le tecniche di comunicazione del concorrente utilizzate sui social network e sui siti web.
Anche le strategie commerciali hanno un loro “copyright”: pertanto, chi copia passo dopo passo ciò che fa l’azienda concorrente sulla propria pagina Facebook, sugli altri social network o sul sito internet compie un atto di concorrenza sleale, o meglio di «concorrenza parassitaria» e «denigrazione commerciale». Ma solo se i due soggetti sono tra loro concorrenti e, quindi, entrambi imprenditori. Nel caso di due privati, a tutto voler concedere, si potrebbe parlare di violazione del diritto d’autore se l’uno copia i testi o le immagini create dall’altro (e quindi di proprietà di quest’ultimo).
A occuparsi del divieto di copiare da Facebook e dai siti internet altrui è stato il Tribunale di Milano [1] in una recente sentenza. Ma procediamo con ordine e vediamo cosa è stato stabilito in tale circostanza.
Quando scatta la concorrenza sleale su Facebook?
Secondo la sentenza in commento, scatta un atto di «concorrenza parassitaria» quando il rivale copia l’altrui account Facebook, ponendosi sulla scia del concorrente in modo sistematico e continuativo, sfruttando la creatività altrui e avvalendosi delle idee e dei mezzi di ricerca e finanziari altrui.
In particolare possiamo parlare di
- «concorrenza parassitaria sincronica» quando tali atti si manifestano concretamente attraverso un’attività che, in un unico momento, imitano tutte le iniziative del concorrente
- «concorrenza parassitaria diacronica» quando i singoli atti imitativi si succedono nel tempo.
Il concetto di «concorrenza sleale» viene, in realtà, definito dal codice civile [1] secondo cui compie atti di concorrenza sleale chiunque:
- usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente;
- diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente;
- si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda.
La concorrenza sleale prescinde dalle intenzioni del colpevole, che può agire per semplice colpa o in malafede: ciò che rileva per consentire alla parte lesa di ottenere il risarcimento del danno è che la condotta incriminata rientri in uno dei tre casi appena descritti.
Quando diffamare su Facebook il concorrente è vietato
Nell’ambito della concorrenza sleale poi si definisce il concetto di «denigrazione commerciale» che scatta con la diffusione, da parte di un imprenditore, di notizie relative a un proprio concorrente, idonee a influire negativamente sul giudizio del pubblico.
Affinché si possa rivendicare il risarcimento è necessario però dimostrare di aver subito un pregiudizio: in altri termini non qualsiasi discredito può configurare una lesione di altrui diritti, ma solo la diffusione di notizie idonee a causare un danno anche solo potenzialmente. Il danno può limitarsi ad essere solo una maggiore difficoltà sul mercato (perdita di clientela o di fornitori e ricadute sull’organizzazione dell’impresa).
La giurisprudenza – in tema di punizione di reati come la diffamazione – ha riconosciuto a Facebook e agli altri social network un’ampia portata e diffusività dei messaggi (tanto da integrare l’aggravante del mezzo della pubblicità). E ciò vale sia nel caso di profilo “aperto” che “chiuso”. In altri termini, il funzionamento di Facebook consente la visibilità dei messaggi ivi pubblicati a prescindere dal fatto di essere «amici» della titolare della pagina dove essi compaiono. La logica conseguenza è che chi pubblica apprezzamenti negativi sulle pagine di questo social network deve essere consapevole del grosso danno che compie nei confronti del rivale, esponendolo al pubblico ludibrio.
Pubblicare un post diffamatorio su Facebook nei confronti del rivale o copiare sistematicamente le scelte commerciali da questi realizzate costituisce quindi un atto di concorrenza sleale sanzionabile con il risarcimento del danno [3]. Questa tipologia di concorrenza si realizza in presenza di una pluralità di atti che, pur isolatamente leciti, valutati nel loro insieme costituiscono un illecito, poiché concretizzano una forma di imitazione delle iniziative della parte concorrente che sfrutta in maniera sistematica il lavoro e la creatività altrui.
[1] Trib. Milano, sent. n. 2553/17 del 1.03.2017.
[3] Cass. sent. n. 37596/2014; Trib. Torino, ord. del 7.07.2011.
FONTE: http://bit.ly/2oaPwCV