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Società con moglie e figli: può il marito essere assunto?

Avevo una società con mia moglie e mio figlio. Da questa società sono uscito per fare il libero professionista. Al momento le quote sono divise 50 e 50 (moglie e figlio). Adesso ci sarebbe l’opportunità reale di assumermi in quanto l’azienda sta crescendo e hanno bisogno di una persona con il mio skill professionale. È fattibile detta assunzione? Se si, cosa devo fare per avere le carte in regola in caso di un controllo da parte dell’Inps sulla mia reale posizione lavorativa?

Il lettore non precisa di quale tipologia di società si tratta, ma chiarisce che non possiede alcuna quota, in quanto queste sono suddivise tra sua moglie e suo figlio in egual misura.

Se la società è di capitali, ad esempio una Srl, il rapporto di lavoro che il lettore eventualmente instaurerebbe in qualità di dipendente potrebbe legittimamente risultare a titolo oneroso, indipendentemente dal legame di parentela con i soci dell’impresa: il datore di lavoro, difatti, sarebbe la società. L’Inps, nella circolare 179/1989, afferma infatti che in via generale il rapporto di lavoro può essere convalidato in quanto il rapporto stesso intercorre con la società e non con i singoli soci.

Tuttavia, poiché nel caso concreto sarebbero verificate le seguenti due condizioni:

– società con due soli soci al 50%, di cui almeno uno familiare dell’assunto;

-società in cui la maggior parte delle quote appartiene a un familiare del lavoratore assunto;

e probabilmente anche la seguente condizione:

– società in cui l’amministratore, con pieni poteri nella gestione dei dipendenti, è un familiare convivente del lavoratore assunto;

– attestati di avvenuto versamento all’erario delle ritenute fiscali operate alla fonte;

– dichiarazioni dei redditi presentate da datori di lavoro e lavoratori;

– applicazione delle detrazioni per retribuzioni corrisposte a personale dipendente e redditi da lavoro subordinato.

Con tutta probabilità, potrebbe scattare una verifica, da parte dell’Inps, riguardo all’effettività della subordinazione.

Al riguardo, difatti, l’Inps si è espresso, nella stessa Circolare n. 179/1989, affermando che, nel caso in cui la compagine societaria sia formata da due soli soci, entrambi parenti conviventi, o nel caso in cui il parente convivente del lavoratore sia titolare di tutti i poteri sociali o abbia la maggioranza delle azioni delle quote sociali, si esclude la configurabilità del rapporto di lavoro dipendente da parte del socio/familiare. per assenza della giustificazione organizzativa.

In una successiva circolare, la 74/1990, però, l’Inps afferma che la presunzione di gratuità è superabile, se l’effettività del rapporto di lavoro è comprovata. Per superare la  presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative rese fra parenti o affini, si considerano i seguenti documenti:

Questo orientamento è stato confermato anche dalla Cassazione (sent. n.4535 del 27.2.2018) e dal ministero del Lavoro (circolare M.L. n. 10478 del 2013), per i quali il rapporto subordinato tra familiari è configurabile, se è dimostrata la sua effettività.

Come dimostrare che il rapporto posto in essere è effettivamente un rapporto di lavoro subordinato, e non un rapporto differente, “mascherato” per ottenere vantaggi economici, fiscali o contributivi?

Si può dimostrare l’effettività del rapporto subordinato tra familiari, provando l’effettivo esercizio del potere direttivo e gerarchico da parte del socio, o dei soci, che hanno il controllo della società verso il familiare dipendente: in pratica, il lettore dovrebbe dimostrare l’effettiva subordinazione nei confronti del coniuge e del figlio.

La prova del rapporto di lavoro richiesta è rigorosa, e richiede che siano riscontrati dei precisi indici di subordinazione (come precisato dalla Cassazione, sent. n.4535 del 27.2.2018):

– onerosità della prestazione e corresponsione di un compenso a cadenze fisse: per dimostrare che la prestazione è resa a titolo oneroso, è necessario produrre non solo le buste paga, ma anche la prova dei pagamenti delle retribuzioni, da effettuarsi esclusivamente con mezzi tracciabili, come bonifici;

– presenza costante presso il luogo di lavoro previsto dal contratto;

– osservanza di un orario di lavoro (il titolare si avvale dell’attività del familiare con continuità e programmazione): l’osservanza dell’orario di lavoro può essere provata con l’esibizione delle giornaliere, meglio ancora se presente un sistema di rilevazione orari;

– programmatico valersi da parte del titolare, ai fini dell’organizzazione dell’attività stessa, dell’apporto della prestazione lavorativa.

Se sono verificati gli indici di subordinazione, il rapporto di lavoro dipendente è considerato valido a tutti gli effetti, a prescindere dal vincolo di parentela.

Per quanto riguarda, invece, le società di persone (Snc, Sas…), generalmente il rapporto subordinato instaurato tra parenti non è riconosciuto dall’Inps, salvo il caso delle prestazioni rese in forma occasionale. Si può comunque configurare un rapporto di lavoro subordinato solo se il dipendente risulta sottoposto al controllo gerarchico del familiare-socio, che deve risultare munito di supremazia (in sostanza, anche in questo caso bisogna fornire una prova rigorosa della subordinazione).

In base a quanto esposto, è possibile affermare che, in astratto, il rapporto di lavoro subordinato con una società composta per la maggioranza da familiari è configurabile, ma che nel concreto questa possibilità è avversata dalla prassi INPS.

Ai fini fiscali, i costi relativi alla prestazione subordinata del familiare sono deducibili dai redditi, sia in caso di società di persone che di capitali (Agenzia delle Entrate, risoluzione n. 158 del 27 maggio 2002)

Ai fini previdenziali, nel caso in cui il rapporto subordinato sia disconosciuto, l’Inps considera il versamento di contributi come indebito, avvenuto in carenza di presupposto assicurativo: in pratica, i contributi sono considerati come versati per un’attività inesistente, e sono annullabili senza limiti di tempo, poiché manca il presupposto dell’assicurazione.

I versamenti non dovuti sono rimborsabili, ma soggetti all’ordinaria prescrizione di10 anni. Se, però, viene accertato anche il dolo del contribuente, la contribuzione indebitamente versata non viene restituita.

In conclusione, per rispondere alle domande in esame:

– l’assunzione è fattibile, ma ci si deve preparare a probabili contestazioni da parte dell’Inps;

– per avere le carte in regola, è necessario documentare scrupolosamente ogni elemento dal quale possa evincersi l’effettiva subordinazione: buste paga, giornaliere (è opportuno che le rilevazioni delle presenze siano effettuate con un sistema biometrico, per non essere contestabili), pagamento dello stipendio con mezzi tracciabili (che è comunque obbligatorio per tutti i dipendenti) ed a cadenze fisse, documentazione che provi l’effettivo versamento delle ritenute (ricevute F24, Cu, dichiarazione 770), dichiarazione dei redditi, movimentazione dei conti correnti (dalla quale si evinca che non c’è una partecipazione occulta agli utili, o una compartecipazione di altra tipologia; è consigliabile non evitare i conti cointestati), ulteriore documentazione, come verbali, da cui sia possibile desumere oggettivamente la sottoposizione al potere gerarchico dei soci (in sostanza, deve essere evidente che le decisioni sono prese dalla moglie e dal figlio del lettore, e che non sussiste alcun suo potere decisionale) ed il suo inserimento funzionale nell’organizzazione.

FONTE: https://bit.ly/2JzAzSP

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