Non si può attribuire il concorso di colpa al dipendente se l’azienda viola gli obblighi di prevenzione.
Ti sei fatto male al lavoro. Il tuo datore, però, non vuol riconoscerti il risarcimento. Sostiene che sei stato imprudente e che, pertanto, ci sarebbe quantomeno un concorso di colpa da parte tua. «Se fossi stato attento per come prescrive il regolamento aziendale – ti ha rimproverato il tuo capo – non ti saresti mai infortunato». È davvero così? Chi ha ragione in questa triste e, purtroppo, comune vicenda lavorativa?
La Cassazione si è occupata, proprio di recente, di infortunio sul lavoro e risarcimento del lavoratore imprudente. Ecco qual è stata la sintesi di questa interessante pronuncia [1]. Una pronuncia – va sottolineato subito – in linea con i precedenti, sicché può ritenersi che i principi qui affermati dai giudici costituiscano ormai vera e propria “legge”.
Concorso di colpa al dipendente che si fa male
Non si può riconoscere un concorso di colpa al lavoratore che si fa male nello svolgimento delle proprie mansioni, neanche se questi è stato distratto e ha disatteso le istruzioni aziendali, quando il datore di lavoro ha comunque violato gli obblighi di prevenzione degli infortuni. In pratica, la colpa in capo all’azienda esclude qualsiasi tipo di concorso di colpa in capo al dipendente imprudente.
Secondo la Cassazione, infatti, la condotta incauta del lavoratore non comporta concorso di colpa, tale da ridurre la misura del risarcimento, ogni volta in cui la violazione di un obbligo di prevenzione da parte del datore di lavoro sia giuridicamente da considerare munita di «incidenza esclusiva» rispetto alla determinazione dell’evento dannoso. In pratica, se la causa principale dell’infortunio è la mancata adozione delle regole sulla sicurezza sul lavoro, il dipendente ha diritto al risarcimento integrale.
La vicenda
Nel caso di specie, l’infortunio si era verificato a causa del crollo di un capannone in fase di smontaggio, benché l’infortunato fosse stato informalmente avvertito dal suo superiore, tramite terza persona, che tale lavoro doveva essere rinviato ad altra data.
La vertenza ha fornito alla Corte l’occasione per spiegare, ancora una volta, come funziona il criterio di imputazione di responsabilità per gli incidenti sul lavoro.
Gli obblighi del datore di lavoro in materia di sicurezza
Il datore di lavoro deve poter anticipare, prevedere e, quindi, neutralizzare anche le eventuali distrazioni dei propri dipendenti. Deve, cioè, rappresentarsi il rischio che non tutti siano ligi e diligenti quando lavorano e che, pertanto, in un momento di stanchezza o di fretta, possano farsi male. Nel disporre le misure di sicurezza, l’azienda deve rappresentarsi non un lavoratore diligente, ma anche quello più “scapestrato” perché è compito del datore tutelare tutti coloro che entrano nella propria azienda, anche i clienti.
Solo quei comportamenti volontari del dipendente, palesemente abnormi e svincolati da qualsiasi prevedibilità, escludono completamente la responsabilità del datore.
Secondo la giurisprudenza ormai consolidata, il nesso causale tra l’attività lavorativa ed il danno è escluso in presenza di un rischio elettivo, in riferimento a comportamenti abnormi del lavoratore (come in caso di azioni intraprese volontariamente e per motivazioni personali estranee all’attività lavorativa), ma anche a condotte non prevedibili nell’ambito della prestazione né in concreto impedibili secondo il grado di diligenza richiesto. Si tratta, quindi, di ipotesi destinate ad operare come caso fortuito rispetto alla responsabilità datoriale.
Infortunio sul lavoro: quando il risarcimento viene ridotto
Può capitare, invece, che concorrano nell’evento comportamenti colposi del lavoratore con quelli dell’azienda, il che determina la diminuzione del risarcimento in base alla gravità della colpa.
Se questo è il contesto di riferimento – spiegano i giudici di legittimità – resta comunque centrale la regola di diritto secondo cui, una volta individuata una cautela idonea a impedire il rischio d’infortunio (specificamente prevista o deducibile da regole di prudenza, perizia e diligenza richieste dal caso concreto), qualora essa non sia stata attuata «resta radicata» la responsabilità datoriale.
Per la Cassazione, del resto, nei rapporti di lavoro il massimo rilievo da attribuire ai doveri di protezione è conseguenza diretta della sussistenza in capo al garante di poteri unilaterali di direzione e organizzazione.
Se nelle vicende dell’evento che intervengono a determinare l’infortunio emergono, quindi, come nel caso in esame, comportamenti incauti del lavoratore che possano riconnettersi in modo diretto all’inosservanza dei doveri informativi (o formativi) del datore di lavoro, tali da rendere altamente presumibile che, ove quegli obblighi fossero stati assolti, quel comportamento (incauto) non vi sarebbe stato, non è possibile comunque addossare al lavoratore una colpa idonea a concorrere con l’inadempimento datoriale e che sia tale da ridurre la misura del risarcimento dovuto.
In sintesi, di concorso di colpa nell’illecito non si può mai parlare se, pur in presenza di un comportamento del lavoratore astrattamente non rispettoso di regole cautelari, tale comportamento si colloca nella mancata adozione da parte di datore di lavoro di forme tipiche o atipiche di prevenzione che avrebbero consentito di impedire con significativa probabilità il verificarsi dell’evento.