Rapporto di lavoro subordinato: abuso di autorità, comportamenti sleali e molestie, normativa applicabile, procedure da seguire. Le nuove fattispecie di reato.
Hai delle difficoltà con il tuo datore di lavoro? Avverti un clima ostile in ufficio a causa dell’incompatibilità caratteriale con i tuoi colleghi? Vivi la tua giornata professionale con ansia, tensione e desiderio impellente di tornare a casa?
Se hai subito minacce, umiliazioni, molestie, discriminazioni o comportamenti ostili allora potresti essere vittima di mobbing.
Vediamo di cosa si tratta e, in particolare, analizziamo la differenza tra mobbing, bossing e straining.
Infatti, le dinamiche lavorative sono oggi articolate e complesse. La flessibilità e l’incertezza professionale, la difficoltà di trovare un impiego, l’ambizione spropositata di alcuni, la quantità di tipologie contrattuali presenti in Italia possono agevolare la nascita di tensioni tra colleghi di pari grado o tra dipendenti di diversa posizione gerarchica.
Il legislatore nazionale ed europeo e la magistratura si sono molto interrogate sulla legittimità di alcuni comportamenti, soprattutto di quelli più difficilmente collocabili in una categoria piuttosto che in un’altra. Vi sono, infatti, delle azioni che si trovano al confine con l’illegalità, ma se non superano la soglia prevista per legge, non sfociano in una condotta illegittima e non sono punibili. Si tratta di zone grigie che producono i medesimi effetti psicologici, sociali ed economici dei comportamenti presi in considerazione dalle disposizioni di legge.
Le tensioni lavorative: possono sfociare in condotte punibili?
Il mondo del lavoro in rare ipotesi si presenta come un’isola felice; in molti casi, per converso, è una jungla di emozioni, relazioni e rapporti sociali più o meno faticosi. I problemi e gli scontri sono all’ordine del giorno, ma soltanto alcune azioni degenerano in comportamenti gravi e meritevoli di considerazione per il diritto: esse sono, quindi, considerate giuridicamente rilevanti.
In particolare, sono entrati a far parte del linguaggio comune, anche dei non addetti ai lavori, tre termini inglesi che identificano alcune situazioni sempre più frequenti: mobbing, bossing e straining. In tutte e tre le circostanze, l’unica soluzione possibile, se non si riesce a raggiungere un accordo per la pacifica convivenza, è quella di rivolgersi a un avvocato e di adire le vie legali.
In particolare, anche se caldeggiata da più parti (associazioni di categoria, sindacati, forze politiche, petizioni popolari), non è stata ancora adottata una disciplina dettagliata sulla materia e, a tutt’oggi, occorre affidarsi alle disposizioni contenute nel codice civile, nel codice penale e nelle leggi speciali. Il nostro sistema giuridico, infatti, tutela la dimensione lavorativa in tutte le sue forme e applicazioni:
- costituzionali: i padri costituenti hanno posto il lavoro a fondamento della Repubblica e per tale motivo tutti i cittadini hanno il dovere di concorrere al progresso materiale e spirituale della società. Inoltre, l’attività economica è vietata se mette a repentaglio la sicurezza, la libertà e la dignità umana;
- civili: il datore di lavoro ha una precisa responsabilità contrattuale per i danni (economici, fisici, psicologici o morali) subiti dal dipendente durante lo svolgimento della propria attività e ne risponde dal punto di vista risarcitorio;
- penale: se il lavoratore subisce dei reato sul posto di lavoro, ha il diritto di chiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria per la punizione del colpevole.
Mobbing: che cos’è?
Il termine mobbing deriva dal verbo inglese “to mob” e indica un comportamento illecito commesso in ambito lavorativo dai colleghi o dal datore di lavoro: nel primo caso si parla di mobbing orizzontale e nel secondo di mobbing verticale (o bossing).
La condotta esaminata consiste in una serie di atteggiamenti lesivi della dignità del lavoratore, prolungati nel tempo e a contenuto violento (fisico e/o verbale): ingiurie, demansionamento, emarginazione, diffamazione, minaccia sono soltanto alcuni esempi.
In mancanza di una normativa specifica in materia, le caratteristiche del mobbing sono indicate dalla giurisprudenza: in assenza di tali elementi, è possibile configurare delle ipotesi diverse (ad esempio, lo straining). Tuttavia, per appurare l’esistenza di una condotta civilmente o penalmente rilevante, occorre guardare sempre al caso specifico. In altri termini, non è possibile fare riferimento a categorie preconfezionate, ma bisogna verificare se le vessazioni subite dal lavoratore si inseriscono nei criteri indicati dai giudici. In linea di massima essi sono:
- durata nel tempo: il mobbing deve essere reiterato per un arco temporale medio-lungo (secondo alcuni interpreti minimo sei mesi);
- conseguenze sulla vittima: il mobbizzato deve aver sviluppato delle patologie (soprattutto di tipo psicologico) dimostrabili attraverso diagnosi medica;
- illiceità dei comportamenti: le condotte subite dalla vittima devono essere avere natura vessatoria e, quindi, ingiuste in quanto vietate dall’ordinamento giuridico;
- onere della prova: il mobbizzato che deve dimostrare in giudizio il comportamento violento dei propri colleghi o del datore di lavoro.
Bossing: che cos’è?
Quando il mobbing affonda le sue radici nella relazione gerarchica esistente tra dipendente e datore di lavoro si parla, più tecnicamente, di bossing (dall’inglese boss, capo). Esso ha delle caratteristiche ulteriori rispetto alle tipiche condotte vessatorie, in quanto il datore di lavoro gode di una posizione di supremazia che può far valere in ogni contesto lavorativo (pensa, ad esempio, ai diritti negati, al demansionamento, all’esclusione immotivata da riunioni di lavoro o alle promozioni non riconosciute).
Il contenuto del bossing è, dunque, più subdolo e, allo stesso tempo, più pericoloso per la vita lavorativa del dipendente che, in molti casi, decide di dimettersi. Egli, infatti, non sostiene più il carico di tensione che deve affrontare quotidianamente.
In particolare, ciò che deve essere preso in maggiore considerazione è il fine perseguito dal capo. Se, infatti, utilizza dei mezzi leciti (pensa, ad esempio, al trasferimento in altra sede) per scopi persecutori, egli realizza pur sempre un comportamento giuridicamente riprovevole.
Con riferimento a tutti gli altri elementi costitutivi del bossing, trattandosi di una ipotesi specifica di mobbing (cosiddetto verticale), essi coincidono con quelli sopra indicati.
Straining: che cos’è?
Il termine straining deriva dal verbo to strain, ossia costringere, forzare qualcuno. Al pari del mobbing e del bossing, tale condotta è rivolta contro un lavoratore al fine di metterlo in una condizione di difficoltà.
Il contenuto del comportamento è analogo alle altre due fattispecie moleste, ma vi è una differenza fondamentale evidenziata più volte dalla Corte di Cassazione, ossia dal supremo organo della magistratura ordinaria. Il mobbing, infatti, nelle sue diverse declinazioni (orizzontale e verticale) deve essere reiterato nel tempo e costante; lo straining, invece, può consistere anche in una singola azione o in specifici comportamenti non collegati tra di loro.
Facciamo un esempio per comprendere meglio la portata della questione.
Se il tuo capo, ogni giorno, realizza dei comportamenti che ti umiliano (privatamente o in presenza dei tuoi colleghi), l’esclusione da una riunione di lavoro si inserisce nella serie di tali azioni e rappresenta un anello della catena di mobbing. Al contrario, quando il tuo isolamento ingiustificato è l’unica condotta vessatoria nei tuoi confronti si parla di straining.
Nelle condotte di straining (così come per il mobbing e per il bossing) un consiglio è opportuno: ricordati, per quanto possibile, di documentare ogni azione compiuta contro di te. Valuta, ad esempio, la possibilità di registrare eventuali conversazioni minacciose o ingiuriose nei tuoi confronti. Non esitare a rivolgerti a un legale e a utilizzare tutti gli strumenti messi a tua disposizione dal nostro sistema giuridico.
FONTE: https://bit.ly/3jJDit7