Patto di prova nullo: i diritti del dipendente non assunto
Chi viene preso da un’azienda con un patto di prova illegittimo ma poi non vede confermata l’assunzione ha diritto alla reintegra.
Anche dopo il Job Act, che ha ridotto al lumicino i casi di reintegra sul posto di lavoro, il dipendente assunto con un patto di prova illegittimo ha diritto, alla scadenza dello stesso, a conservare il posto di lavoro. A tanto è arrivato il Tribunale di Milano con una recente sentenza [1]. Secondo i giudici milanesi, quando il patto di prova è nullo, come nel caso in cui non risulti per iscritto, al lavoratore spetta non solo la reintegra nel posto di lavoro, ma anche una indennità risarcitoria pari alle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegra, in misura comunque non superiore a 12 mensilità, nonché ai contributi previdenziali e assistenziali maturati nel medesimo periodo (che l’azienda dovrà versare all’Inps). Ma vediamo nel dettaglio, in caso di patto di prova nullo, i diritti del dipendente non assunto.
Patto di prova: come funziona
Come noto il patto di prova consente all’azienda di testare le capacità del dipendente e, in caso di inadeguatezza alle mansioni affidategli, licenziarlo al termine dello stesso senza obbligo della giusta causa o del giustificato motivo richiesti, invece, per tutti gli altri lavoratori “stabilizzati”.
La legge fissa la durata massima della prova in:
- 6 mesi per tutti i lavoratori;
- 3 mesi per gli impiegati non aventi funzioni direttive.
Tuttavia il patto di prova, per essere valido, deve essere scritto, firmato da entrambe le parti e deve indicare specificamente le mansioni assegnate al dipendente: questo perché, se è vero che il giudice non può entrare nel merito delle valutazioni fatte dall’imprenditore sulle capacità del lavoratore assunto in prova, può tuttavia verificare che detta valutazione sia stata effettiva e sincera, e quindi eseguita sulla scorta dell’osservazione delle reali attitudini dello soggetto alla luce di quelli che sono i compiti richiestigli e di quelli eseguiti. In termini pratici non si può assumere in prova un lavoratore con mansioni di addetto ai trasporti e invece fargli eseguire la contabilità dell’azienda, per poi dire che non è adeguato al lavoro assegnatogli. Ecco dunque spiegata la ragione per cui il patto di prova deve indicare le precise mansioni affidate al lavoratore: sia la possibilità per il lavoratore di impegnarsi secondo un programma ben definito in ordine al quale poter dimostrare le proprie attitudini, sia la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria valutazione sull’esito della prova, presuppongono che la prova debba effettuarsi in ordine a compiti esattamente identificati sin dall’inizio.
Per la stessa ragione il patto di prova è nullo se tra le parti sono intercorsi precedenti rapporti di lavoro per le stesse mansioni: in tal caso, infatti, non vi è ragione di saggiare le capacità del dipendente che l’azienda, in realtà, conosce già. Pertanto il patto è illegittimo quando la sperimentazione è già intervenuta con esito positivo nel corso di precedente rapporto di lavoro tra le parti avente ad oggetto le medesime mansioni.
Patto di prova: che succede se è nullo
Anche nel contratto di lavoro a tutele crescenti, inserito dal Job Act, scattano reintegra e risarcimento per il lavoratore assunto con il patto di prova se questo è illegittimo per assenza dei requisiti appena elencati, o non figura da nessuna parte o, ancora – come nel caso deciso dalla Cassazione – il dipendente disconosce la firma sul contratto prodotto dal datore.
Il dipendente ha dunque diritto alla reintegra più il risarcimento pari alle retribuzioni maturate dal licenziamento alla ripresa del servizio, fino a un massimo di dodici mensilità, in misura pari all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.
[1] Trib. Milano, sent. del 3.11.2016.
FONTE: http://bit.ly/2rJmckb