La legge non permette ai datori di lavoro di usare le telecamere sul posto di lavoro con il solo fine di controllare a distanza i dipendenti.
Anche se è stato approvato all’inizio degli anni settanta, lo Statuto dei lavoratori si era già posto alcuni problemi che sarebbero poi diventati particolarmente importanti per effetto dell’evoluzione tecnologica che ha sconvolto anche i luoghi di lavoro. In particolare, con l’avanzare della tecnologia, sono sempre più numerosi gli strumenti tecnologici che i datori di lavoro potrebbero utilizzare per controllare a distanza l’operato ed il comportamento dei propri dipendenti. La materia è molto delicata perché un eccessivo uso di questi strumenti da parte dell’azienda potrebbe porre un serio problema di privacy e di tutela della riservatezza e della sfera personale del dipendente. Per questo la legge è netta nel vietare l’uso degli strumenti audiovisivi per controllare a distanza i lavoratori. In questo articolo cerchiamo di capire quanto possono essere installate le telecamere sul posto di lavoro e quali sanzioni rischia l’azienda che non rispetta le relative procedure.
E’ possibile installare telecamere sul posto di lavoro?
Le telecamere nelle sedi aziendali sono molto diffuse e hanno, in particolare, lo scopo di proteggere la sicurezza di chi opera all’interno delle aziende evitando furti, accessi indesiderati, ingresso di persone pericolose, etc
Tuttavia è pur vero che anche se formalmente le telecamere vengono installate per la sicurezza, il datore di lavoro potrebbe approfittare di questi strumenti per controllare a distanza i dipendenti, la loro prestazione di lavoro, le pause, etc. e magari richiamare e aprire procedimenti disciplinari contro i dipendenti che, osservati a distanza, non si sono comportati bene.
La legge non permette questo tipo di utilizzo il quale si tradurrebbe in un’eccessiva intrusione del datore di lavoro nella sfera privata del dipendente.
Proprio per garantire un corretto utilizzo delle telecamere, la legge [1] impone uno specifico iter autorizzativo per installarle nel posto di lavoro.
In particolare, gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per le seguenti e tassative finalità:
- esigenze organizzative e produttive;
- sicurezza del lavoro;
- tutela del patrimonio aziendale.
Non è, dunque, assolutamente possibile installare le telecamere per controllare a distanza il dipendente. Il controllo a distanza del lavoratore può semmai, essere un effetto indiretto ed incidentale dell’installazione della telecamera nel senso che il datore di lavoro potrebbe, casualmente, mentre osserva il contenuto delle riprese, beccare un dipendente mentre compie un fatto contrario ai suoi doveri. Ma il controllo del dipendente non può mai essere lo scopo diretto dell’impianto audiovisivo. Gli unici scopi ammessi, infatti, sono i tre fini visti sopra.
Per evitare abusi la legge prevede la necessità di ottenere una autorizzazione per procedere all’installazione delle telecamere. Le opzioni percorribili sono due:
- procedura sindacale: prima di installare le telecamere l’azienda sottoscrive un accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria (cosiddetta Rsu) o dalle rappresentanze sindacali aziendali (cosiddette Rsa). Si tratta di un contratto collettivo aziendale nel quale le parti (azienda e rappresentanza sindacale) si accordano per l’installazione delle telecamere chiarendo gli obiettivi e gli scopi dell’impianto e le caratteristiche tecniche. Se l’impresa ha unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, l’accordo sindacale che autorizza l’installazione delle telecamere può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
- procedura amministrativa: in mancanza di accordo sindacale, o perché nell’azienda non vi sono rappresentanze sindacali oppure perché non si raggiunge un’intesa, le telecamere possono essere installate richiedendo ed ottenendo una autorizzazione della sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro.
Ottenuta tale autorizzazione, o sindacale o amministrativa, l’azienda può procedere ad installare le telecamere. Ovviamente il datore di lavoro dovrà rispettare le condizioni poste nell’accordo sindacale o nel provvedimento autorizzativo dell’Ispettorato del lavoro.
Procedura sindacale o amministrativa: gli strumenti esclusi
Come abbiamo visto, la legge sottopone a questa procedura di autorizzazione gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Attualmente occorre considerare che molti dipendenti lavorano tutto il giorno utilizzando il pc aziendale, oppure il tablet, e altri strumenti informatici.
Anche questi strumenti, però, possono essere usati per controllare a distanza il dipendente.
Con un semplice tecnico informatico, ad esempio, l’impresa può osservare da remoto cosa sta facendo il dipendente sul PC aziendale, oppure può ispezionare i siti web visitati, le mail inviate e ricevute etc.
Anche per questi strumenti va dunque seguita la procedura di autorizzazione sindacale o amministrativa? La risposta è no. In base alla norma, infatti, tale procedura non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
Restano dunque esclusi, a titolo di esempio:
- pc aziendale;
- mail aziendale;
- navigazione nel web;
- tablet aziendale;
- cellulare e sim aziendale;
- strumenti di geolocalizzazione aziendale;
- badge e cartellino.
Uso delle informazioni raccolte tramite gli strumenti informatici
La legge si preoccupa anche di definire quale uso può fare il datore di lavoro delle informazioni che ricava usando questi mezzi.
Può accadere, infatti, che anche se lo strumento è stato installato per una delle finalità lecite che abbiamo visto (sicurezza, tutela del patrimonio, esigenze organizzative), dal suo uso il datore di lavoro ricava informazioni sul dipendente.
Facciamo un esempio. L’azienda Alfa installa un circuito di telecamere per tutelare il patrimonio aziendale regolarmente autorizzato con un accordo sindacale stipulato dall’azienda con la Rsu aziendale.
Alfa riscontra il furto di un pc in azienda e il personale dell’azienda procede dunque a visionare le riprese della telecamera per risalire al ladro.
Mentre osservano queste immagini, i collaboratori dell’azienda vedono un dipendente che spacca per terra una stampante di proprietà aziendale.
Non c’è dubbio che questo fatto è un gravissimo inadempimento del dipendente che può pagare anche con il licenziamento per giusta causa. L’azienda potrà usare questa informazione?
La legge dice di sì ma se ricorrono alcune condizioni. In particolare, le informazioni raccolte tramite le telecamere e gli altri strumenti installati sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione dellemodalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dalle norme sulla privacy.
Alfa potrà dunque usare le riprese della telecamera per avviare un procedimento disciplinare nei confronti del dipendente-vandalo a patto che:
- ha consegnato al dipendente una informativa privacy [2] che gli spiega come l’azienda tratterà i dati personali del dipendente raccolti tramite l’utilizzo della telecamera;
- ha informato al dipendente su come vanno usati gli strumenti informativi e se verranno fatti controlli su tali strumenti.
Se questa attività di informazione preventiva è stata svolta, la ripresa può essere usata come base per avviare la procedura disciplinare e licenziare il dipendente.
In caso contrario si deve affermare che le informazioni raccolte non sono utilizzabili. Di recente, anche i giudici di merito [3] si sono espressi in questo senso dichiarando illegittimo un licenziamento disciplinare che si era basato proprio su delle informazioni raccolte tramite gli strumenti informatici, senza preventiva informativa da parte della società.
Telecamere sul posto di lavoro: sanzioni
Il datore di lavoro che non rispetta le regole che abbiamo esaminato per l’installazione delle telecamere rischia di subire gravi sanzioni.
Lo Statuto dei Lavoratori, in particolare, ha introdotto una pena specifica nel caso di:
- installazione illegittima di telecamere;
- impiego illegittimo di impianti di videosorveglianza;
- uso delle telecamere per finalità di controllo a distanza dei lavoratori.
La legge [4] prevede per queste violazioni, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, l’ammenda da 154 euro a 1.549 euro o l’arresto da 15 giorni a 1 anno.
Nei casi più gravi le pene dell’arresto e dell’ammenda sono applicate congiuntamente. Quando, per le condizioni economiche del reo, l’ammenda stabilita nel primo comma può presumersi inefficace, anche se applicata nel massimo, il giudice ha facoltà di aumentarla fino al quintuplo.
In particolare, sono solitamente considerate tra le violazioni di maggiore gravità le seguenti ipotesi:
- l’installazione di telecamere fisse che inquadrano in modo diretto ed esclusivo l’attività lavorativa dei dipendenti oppure i luoghi dove i dipendenti fanno la pausa o consumano i pasti;
- l’assenza delle finalità che legittimano l’installazione delle videocamere, vale a dire, le esigenze organizzative, produttive, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale;
- l’installazione degli impianti a insaputa del lavoratore;
- la messa in opera di sistemi di controllo che raccolgono soprattutto i dati sensibili dei dipendenti;
- tutti i casi nei quali attraverso tali strumenti è stata messa a rischio la libertà individuale del lavoratore ed è stato fatto un effettivo danno al dipendente.
note
[1] Art. 4 L. n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori).
[2] Art. 13 Regolamento (UE) n. 679/2016 (Gdpr).
[3] Trib. Roma, sez. III lav. , ordinanza n. 57668 del 13.06.2018.
[4] Le sanzioni derivano dall’art. 23, co. 1, D.Lgs. n. 151/2015, dall’art. 38 L. n. 300/1970 e dagli artt. 114 e 171 D. Lgs. n. 196 del 30.06.2003.
FONTE: https://bit.ly/2Ub0Deq