Quali comportamenti del dipendete possono spezzare il rapporto di fiducia con il datore di lavoro e dar vita al licenziamento o ad altra sanzione disciplinare?
Non esiste solo la fedeltà tra coniugi; c’è anche quella che il dipendente deve rispettare nei confronti del proprio datore di lavoro. Non fedeltà cieca e servile, ma correttezza, rispetto, obbedienza. Questo significa che se il capo impone al dipendente di commettere un illecito (ad esempio imbrogliare un cliente), questi può rifiutarsi senza rischiare il posto; se il datore colloca il lavoratore in un ufficio privo delle misure minime di tutela della salute, questi può esimersi dalle proprie mansioni senza pericolo di essere licenziato. L’obbligo di fedeltà del lavoratore ha, quindi, come propri confini, il rispetto da un lato della legalità (e, in particolare, delle norme del Codice penale) e, dall’altro, della dignità e del decoro del dipendente.
Di tanto parleremo in questo articolo. Spiegheremo non solo cos’è l’obbligo di fedeltà del dipendente ma quando questo può essere violato e quali sono le conseguenze di ciò.
Fedeltà del lavoratore: il divieto di concorrenza e l’obbligo di riservatezza
A stabilire cos’è l’obbligo di fedeltà del lavoratore e in cosa consiste è, innanzitutto, ma in forma molto generale e limitata, il Codice civile [1]. Esso impone al dipendente due divieti:
- trattare affari per conto proprio o di terzi in concorrenza con l’imprenditore nel medesimo settore commerciale o produttivo (divieto di concorrenza). Il divieto di concorrenza può essere anche esteso oltre la durata del rapporto di lavoro, con un patto di non concorrenza anche successivo al licenziamento o alle dimissioni, purché adeguatamente retribuito;
- di divulgare notizie riguardanti l’organizzazione e i metodi di produzione, oppure di farne uso in modo pregiudizievole per l’impresa (obbligo di riservatezza). Il dipendente deve salvaguardare il datore di lavoro contro il possibile uso pregiudizievole delle notizie ed informazioni di cui il lavoratore viene comunque a conoscenza durante lo svolgimento della sua attività. Tale obbligo deve essere rispettato anche al di fuori dell’orario di lavoro e durante la sospensione del contratto. Questo significa che non può far uscire dall’azienda dei documenti importanti né può girare file lavorativi sulla propria email personale, non può rivelare a terzi i “segreti” della produzione o della lavorazione e tutte quelle informazioni che contribuiscono a formare il patrimonio di conoscenze (know-how) maturato da un’impresa.
Fedeltà del lavoratore: le condotte contrarie agli interessi dell’azienda
In verità, il concetto di fedeltà è molto più ampio ed è stato ben definito dalla giurisprudenza tutte le volte in cui si è trovata a giudicare sulla legittimità dei provvedimenti di licenziamento disciplinare.
Secondo i giudici, la fedeltà del lavoratore non si esaurisce soltanto nel divieto di svolgere mansioni per altre aziende che operino nello stesso campo di attività del proprio datore di lavoro; né si limita a non comunicare i know-how e i segreti aziendali ai concorrenti. La fedeltà è piuttosto l’obbligo di tenere un comportamento leale, improntato alla buona fede e correttezza [2].
Il dipendente, del resto, se anche con il lavoro nobilita se stesso, motiva la propria vita e ne trae non solo sostentamento economico ma anche una crescita personale e professionale, deve pur sempre avere come obiettivo primario gli interessi del datore di lavoro, quindi il bene dell’azienda. Dunque egli deve pur sempre salvaguardare:
- il buon andamento della produzione (sarebbe infedele il dipendente che si assenti lasciando il proprio posto vacante o che rifiuti di prendere servizio presso un’altra sede ove è stato trasferito se, nel frattempo, non impugna il provvedimento del datore ritenuto illegittimo);
- l’immagine del datore (sarebbe infedele il dipendente che commetta un reato sul luogo di lavoro, come ad esempio lo spaccio o, nel caso di un dipendente di banca, un prestito usurario);
- la credibilità della stessa impresa (sarebbe infedele il dipendente che discredita i prodotti commercializzati dall’azienda o che denigra pubblicamente i propri superiori);
- il patrimonio della società (sarebbe infedele il dipendente che rubi o che gonfi i rimborsi spesa, per costi sostenuti durante una trasferta, al fine di ottenere più soldi di quelli che gli sono dovuti).
Il dovere di fedeltà si sostanzia anche nell’obbligo del lavoratore di astenersi da attività contrarie agli interessi del datore di lavoro: tali sono da considerare anche quelle che, sebbene non attualmente produttive di danno, lo possano essere soltanto in potenza [3], che creino situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi dell’impresa o che siano comunque idonee a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto [4].
Fedeltà significa anche “saper stare al proprio posto”, ossia rispettare le funzioni e le mansioni assegnate e non travalicare. Ad esempio è stato condannato il dipendente che, seppur per dare un servizio più completo a un cliente, chiedeva al collega di accedere al suo terminale per visualizzare informazioni che dal suo non erano autorizzate.
La necessità di rispettare l’obbligo di fedeltà non vieta al dipendente di utilizzare il bagaglio di informazioni e conoscenze ricevute, nel corso dell’attività lavorativa, nella sua futura vita professionale come nel caso di una successiva assunzione presso un’altra azienda. Né gli vieta di criticare l’azienda o il capo purché in modo composto.
Fedeltà del lavoratore: il rispetto della verità
Un altro aspetto dell’obbligo di fedeltà del dipendente è quello di non dire bugie per non far perdere la cosiddetta fiducia che in lui deve poter nutrire il datore di lavoro. E così, il certificato di malattia falso è violazione del dovere di fedeltà. Lo è anche la mancata partecipazione a un corso di formazione per il quale sia stato accordato un apposito permesso. Viola il dovere di fedeltà il dipendente che chiede e ottiene un apposito permesso dal lavoro, come quello per l’assistenza ai familiari disabili (ai sensi della legge 104 del 1992) o per la malattia del figlio e poi destina quel tempo ad altre finalità, del tutto diverse da quelle previste dalla legge (ad esempio un ponte, prolungare una vacanza, fare una gita, partecipare a una gara sportiva, ecc.).
Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente durante la malattiaconfigura la violazione del dovere di fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, sia nel caso in cui tale attività faccia presumere l’inesistenza della malattia, sia nel caso in cui la medesima attività possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio (alla luce di ciò la Cassazione ha di recente confermato il licenziamento per il lavoratore in periodo di assenza per infortunio sorpreso a svolgere attività lavorativa particolarmente gravosa quale la guida di automezzi e il carico/scarico di materiale, tale da comprometterne o ritardarne la guarigione) [4].
Conseguenze per la violazione dell’obbligo di fedeltà
Nulla vieta al datore di lavoro che nutra il giustificato dubbio che un dipendente ponga in essere atti che violano l’obbligo di fedeltà di ricorrere alle prestazioni di investigatori privatiperché compiano verifiche in merito, anche con riferimento all’attività lavorativa che il lavoratore debba svolgere al di fuori dei locali aziendali [5].
Ovviamente tanto più gravi sono tali condotte e tanto maggiori sono i danni da esse conseguenti per l’azienda, tanto più probabile è che la sanzione consista nel licenziamento. Licenziamento che deve sempre essere proporzionato alla violazione commessa dal dipendente ma che costituisce la regola tutte le volte in cui viene palesemente violato l’obbligo di fedeltà.
La violazione dell’obbligo di fedeltà è fonte infatti di responsabilità disciplinare. Può anche comportare l’obbligo di risarcire l’azienda quando il comportamento determina un danno al datore di lavoro e quest’ultimo sia in grado di fornirne la prova.
note
[2] Artt. 1175 e 1375 cod. civ.
[3] Cass. 24 ottobre 2017 n. 25147.
[4] Cass. 26 marzo 2018 n. 7425.
[4] Cass. sent. n. 7641/2019l
[5] Cfr. C. App. Torino, sent. n. 380/2018: «Il datore di lavoro può effettuare controlli a carico dei lavoratori allo scopo di verificare eventuali comportamenti illeciti degli stessi, per i quali sussistano anche solo elementi di dubbio, purché tali comportamenti non siano riconducibili all’inadempimento dell’obbligazione avente ad oggetto l’esecuzione della prestazione lavorativa. Di talché il controllo del datore di lavoro è legittimo in relazione a comportamenti tenuti al di fuori dell’orario di lavoro e del luogo di lavoro, aventi rilievo disciplinare in quanto integranti una negazione di doveri contrattuali di fedeltà e diligenza non direttamente riferibili alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, ma alle ulteriori obbligazioni preparatorie e funzionali al corretto e leale adempimento di tali doveri. Detto controllo può essere esercitato anche con modalità occulte, con l’ausilio di agenzie investigative a ciò autorizzate».
FONTE: https://bit.ly/2KPl2Ck