Discriminatori i provvedimenti disciplinari per il ritardo la mattina nei confronti delle donne e dei genitori che devono portare i bambini a scuola o all’asilo.
Il tuo datore di lavoro ha dichiarato guerra a chi, la mattina, se la prende comoda ed entra tardi in ufficio. Non si può derogare all’orario nazionale di lavoro: così facendo tutta la produzione resta bloccata. Sono state emesse delle nuove direttive: chi sgarra nella fascia oraria “rossa” deve giustificarsi per iscritto e, in caso di reiterazione, rischierà sanzioni disciplinari. Inoltre, chi timbra il cartellino dopo le 9,30 si considera in “permesso breve non retribuito”, con tutte le conseguenze del caso.
Hai fatto presente al tuo capo il tuo compito mattutino di portare i bambini a scuola, circostanza che comporta spesso un ritardo a causa del traffico e della distanza. Il tuo compagno, del resto, lavora la notte e la mattina resta a casa a dormire; i nonni, dal canto loro, non guidano più. Insomma, nessun altro, tranne te, può adempiere a questo compito. Prevedere, pertanto, delle sanzioni disciplinari nei confronti di chi sgarra sull’orario di ingresso costituisce, a tuo avviso, una discriminazione nei confronti delle donne e di tutti coloro che portano i figli a scuola. È davvero così? Fare tardi a lavoro è giustificato per chi ha figli piccoli?
La questione è particolarmente interessante perché coinvolge una grossa fetta dei dipendenti. Almeno un genitore a famiglia si prende cura dell’accompagnamento dei bambini presso l’asilo, le elementari o le altre scuole. Non tutti, peraltro, sono serviti dallo scuolabus. Ragion per cui, su tale aspetto, si è pronunciato di recente il tribunale di Firenze [1].
Fare tardi al lavoro per portare i bambini a scuola o per andare a prenderli
I giudici toscani partono da un dato di fatto: è notorio che i genitori (e, a maggior ragione, le lavoratrici madri), specialmente se con figli in età da scuola dell’infanzia, materna e primaria, si trovano frequentemente a dover far fronte a impellenti – e a volte imprevedibili – esigenze connesse alla gestione della prole. Si pensi alla necessità di portare i bambini a scuola o doverli andare a prendere, sul più bello, in piena mattinata, per una improvvisa febbre; allo stesso modo, si può presentare la necessità di uscire dal lavoro con qualche minuto d’anticipo per evitare che il proprio bambino, in uscita dall’istituto scolastico, resti in mezzo alla strada.
Tutte queste esigenze possono verosimilmente comportare il bisogno di ritardare l’ingresso al lavoro o anticipare l’uscita.
Quali sono le discriminazioni sul lavoro?
Si pone ora il problema di stabilire se eventuali sanzioni disciplinari per chi fa tardi al lavoro possono essere giustificate con le esigenze aziendali o se, al contrario, finiscono per avere un effetto discriminatorio proprio nei confronti dei genitori che devono badare ai suddetti compiti.
La discriminazione viene considerata, dalla giurisprudenza, come una condotta che comporta effetti lesivi nei confronti di uno o più lavoratori appartenenti a una determinata categoria. Esiste una discriminazione indiretta quando l’ordine di servizio del datore contiene anche solo il rischio potenziale di mettere in posizione di svantaggio alcuni lavoratori.
Secondo la giurisprudenza dell’Ue, basta che una sola persona risulti lesa, nella pratica, per dimostrare la sussistenza di una discriminazione: è sufficiente un impatto potenziale tale da causare una posizione di particolare svantaggio.
A tale riguardo, in varie cause decise dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, riguardanti presunti casi di discriminazione indiretta, sono stati ritenuti sufficienti per stabilire una potenziale discriminazione la valutazione del senso comune e della comune esperienza, ossia ciò che avviene nella pratica.
Fare tardi al lavoro può essere giustificabile per chi porta i figli a scuola
Alla luce di questo complesso ragionamento, il tribunale conclude sostenendo che è una discriminazione indiretta mettere in una situazione di svantaggio le persone appartenenti alle categorie tipizzate: in primis le dipendenti, che cumulano il fattore di rischio costituito dal sesso femminile con quello incarnato dalla maternità. Chi ha bambini lo sa: è sempre dietro l’angolo l’improvvisa necessità di ritardare l’ingresso al lavoro o anticiparne l’uscita.
Del resto, è prevedibile, sulla base della comune esperienza, che un ordine di servizio che “irrigidisca” l’orario di lavoro possa svantaggiare i dipendenti-genitori rispetto a quelli non-genitori. Risulta estremamente difficoltosa allora la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, esponendo per l’effetto i dipendenti genitori anche un maggior rischio di incorrere in violazioni disciplinari commesse ai ritardi.
Pertanto, il giudice ritiene discriminatorio nei confronti dei genitori lavoratori e, in particolare, delle lavoratrici madri, applicare sanzioni disciplinari la mattina al lavoro.
Risultato: vanno rimossi gli ordini di servizio che introducono un giro di vite contro i ritardi in ufficio perché, a conti fatti, rischiano di danneggiare i lavoratori-genitori più degli altri, in particolare le lavoratrici madri, quando mettono nel mirino l’orario fra le 9.16 e le 9,30. E ciò perché «è notorio» che chi ha figli piccoli si trova a dover fronteggiare «esigenze impellenti e imprevedibili», specie legate alla scuola.