Licenziamento donna incinta: quando è vietato
La legge impedisce il licenziamento della donna incinta. In particolare è vietato il licenziamento:
- della lavoratrice dall’inizio della gravidanza e sino al compimento di un anno di età del bambino. L’inizio della gestazione si presume avvenuto 300 giorni prima della data presunta del parto indicata nel certificato di gravidanza [1];
- del padre lavoratore che fruisce del congedo di paternità, per la durata del congedo stesso e fino al compimento di un anno di età del bambino;
- causato dalla domanda o dalla fruizione dell’astensione facoltativa e del congedo per malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore.
La lavoratrice incinta non può essere collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo, salvo che ciò avvenga a seguito della cessazione dell’attività dell’azienda cui la lavoratrice stessa è addetta [2].
Licenziamento intimato durante la gravidanza: conseguenze
Qualora il datore di lavoro intimi il licenziamento nonostante ricorra il suddetto “periodo di tutela”, il licenziamento è nullo. L’illegittimità del licenziamento discriminatorio, nullo o orale è sanzionata con la reintegra sul lavoro, a prescindere dalla dimensione occupazionale aziendale, e con un’indennità risarcitoria commisurata alle mensilità di retribuzioni perdute. Il regime di tutela cambia solo in relazione alla data di assunzione del lavoratore. La donna illegittimamente licenziata durante la gravidanza o il successivo periodo di maternità ha, dunque, diritto di riottenere il posto e di ricevere tutte le somme di denaro (retribuzioni, contributi previdenziali ed assistenziali) che le sarebbero spettate se il licenziamento non fosse mai stato intimato.
Il divieto di licenziamento prescinde dal fatto che il datore di lavoro fosse o meno a conoscenza della condizione di gravidanza della dipendente, perché dipende dal fatto in sé della imminente maternità. Di conseguenza l’interessata può ottenere il ripristino del rapporto di lavoro mediante la presentazione al datore di lavoro di idonea certificazione, dalla quale risulti l’esistenza, all’epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano. Se il datore non ottempera spontaneamente, è necessario ricorrere al tribunale in funzione di giudice del lavoro, per far dichiarare l’illegittimità del licenziamento avvenuto in violazione delle norme sulla discriminazione di genere.
Licenziamento lavoratrice in gravidanza: quando è possibile
Il licenziamento della lavoratrice in gravidanza è eccezionalmente possibile, ma solo nei seguenti casi:
- licenziamento della lavoratrice per “giusta causa” (spetta comunque l’assegno di disoccupazione, cioè la Naspi);
- cessazione dell’attività dell’azienda;
- ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta;
- scadenza del termine del contratto di lavoro a tempo determinato;
- esito negativo della prova, fermo restando il divieto di discriminazione per lo stato di gravidanza.
In particolare, la colpa grave del lavoratore costituisce, nonostante lo stato di gravidanza, una giusta causa di risoluzione del rapporto. La valutazione della gravità del comportamento della lavoratrice deve comunque tenere conto delle sue particolari condizioni psico-fisiche dettate dal suo stato di gravidanza [3]: perciò la valutazione sulla ricorrenza della giusta causa che legittima il licenziamento non è automatica, ma va compiuta in concreto. Ad esempio, è stato ritenuto:
- legittimo il licenziamento giustificato da gravi inadempimenti (assenze ingiustificate ed inaffidabili) della lavoratrice [4];
- illegittimo il licenziamento intimato a causa di un’assenza ingiustificata protrattasi per pochi giorni [5];
Quanto alla cessazione dell’attività, il licenziamento viene ritenuto giustificato solo in presenza della cessazione totale dell’attività aziendale [6] mentre non è giustificato nell’ipotesi di cessazione del ramo d’azienda alla quale la lavoratrice è addetta [7]. È illegittimo anche il licenziamento motivato da ragioni di ristrutturazione produttivo-organizzativa, in quanto esse non costituiscono un’ipotesi di cessazione dell’attività d’azienda;
Riguardo all’esito negativo della prova, il licenziamento è legittimo solo se il datore di lavoro non era a conoscenza dello stato di gravidanza. In caso contrario, per tutelare la lavoratrice da eventuali abusi, il datore di lavoro deve motivare il giudizio negativo circa l’esito della prova. Solo così è possibile valutare i motivi reali del recesso, al fine di escludere con ragionevole certezza che esso sia stato determinato dallo stato di gravidanza [8].
FONTE: https://bit.ly/3rmFFby