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Cos’è un atto di insubordinazione del lavoratore dipendente

Quando il dipendente può rifiutarsi di lavorare e quando tale comportamento può costargli il licenziamento. 

Tra i doveri del lavoratore dipendente vi è quello di adempiere alla propria prestazione con diligenza, buona fede e secondo fedeltà al datore di lavoro. La violazione di tali obblighi imposti dal codice civile integra un atto di insubordinazione. 

L’insubordinazione è un comportamento che può avere gravi conseguenze nel rapporto di lavoro. In questo articolo, analizzeremo cos’è un atto di insubordinazione del lavoratore: vedremo alcuni esempi pratici e le conseguenze legali a cui può andare incontro il dipendente “insubordinato”.

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Cos’è un atto di insubordinazione del lavoratore?

L’insubordinazione si verifica quando un dipendente non esegue un compito richiesto dal datore di lavoro senza fornire una valida ragione, oppure quando adotta un comportamento che pregiudica l’esecuzione e il corretto svolgimento delle disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale. In altre parole, si tratta di una violazione degli obblighi di diligenza ed obbedienza che il lavoratore deve osservare nei confronti del datore di lavoro o dei suoi superiori.

Insubordinazione quindi non è solo non fare ciò che il datore richiede, ma anche farle in modo diverso da come prescritto dal datore o dal regolamento aziendale. 

L’insubordinazione presuppone dunque un comportamento doloso, ossia compiuto in malafede, con la coscienza e la volontà di realizzare (o non realizzare) la condotta in questione.

L’insubordinazione può presentarsi in diverse forme, dall’opposizione aperta e sfacciata a un ordine legittimo, fino al mancato rispetto delle regole e delle procedure aziendali stabilite. Essa può anche manifestarsi attraverso comportamenti passivo-aggressivi, come l’ignorare le richieste o il ritardare intenzionalmente l’esecuzione di un compito assegnato.

Esempi pratici di insubordinazione

Poniamo il caso di Tizio, un impiegato che riceve istruzioni dal suo capo riguardo a un nuovo progetto da svolgere. Tuttavia, Tizio ignora completamente le istruzioni senza fornire alcuna spiegazione o motivo per la sua inosservanza. In questo caso, Tizio ha commesso un atto di insubordinazione, poiché avrebbe dovuto avvisare tempestivamente il datore di lavoro dell’impossibilità o della mancanza di volontà di eseguire le istruzioni ricevute.

Un altro esempio potrebbe riguardare Caio, un lavoratore che si rifiuta di obbedire agli ordini del suo superiore e utilizza un linguaggio scurrile per manifestare il suo rifiuto. Anche in questo caso, si tratta di un comportamento insubordinato che potrebbe giustificare un licenziamento disciplinare.

Altro tipico esempio di insubordinazione si verifica quando il dipendente si rifiuta di prendere posto presso la nuova sede di lavoro a seguito di un trasferimento che questi ritiene illegittimo o quando rifiuta di svolgere determinate mansioni che ritiene non conformi al proprio inquadramento lavorativo o al tipo di contratto che egli ha firmato.

Le conseguenze legali dell’insubordinazione

Le conseguenze legali dell’insubordinazione possono variare a seconda della gravità del comportamento e delle specifiche previsioni del contratto collettivo di lavoro. In generale, l’insubordinazione può costituire una giusta causa di licenziamento, come stabilito dalla Corte d’Appello di Brescia nella sentenza n. 275 del 3 novembre 2022. In buona sostanza, il dipendente può essere licenziato in tronco, senza preavviso. 

Casi in cui l’insubordinazione non è ritenuta tale

In alcuni casi, il comportamento del lavoratore insubordinato potrebbe essere considerato legittimo, come stabilito dal Tribunale di Velletri nella sentenza n. 69 del 31 gennaio 2023. Ad esempio, se un lavoratore contesta al suo superiore le condizioni igieniche dei luoghi di lavoro in modo aggressivo e con toni inappropriati, ma dopo aver verificato effettivamente la situazione e senza agire in modo pretestuoso, il suo comportamento potrebbe non essere considerato un atto di insubordinazione.

Un altro tipico caso in cui l’insubordinazione è giustificata si verifica quando il dipendente rifiuta un trasferimento per una valida ragione, come nel caso di chi è titolare dei benefici della legge 104, quindi per tutelare la propria o l’altrui salute. 

La tutela in caso di licenziamento illegittimo

Con l’ordinanza 770/2023, la Cassazione ha detto che, in presenza di un licenziamento illegittimo per insubordinazione – che come anticipato si verifica quando il rifiuto della prestazione da parte del dipendente è giustificato da un grave comportamento del datore – è dovuta la tutela reintegratoria: in altre parole il dipendente ha diritto a vedersi reintegrato sul posto di lavoro.

Il lavoratore e l’illegittimità di un provvedimento datoriale

Secondo il Tribunale di Roma, nella sentenza n. 10938 del 21 dicembre 2022, l’eventuale illegittimità di un provvedimento del datore di lavoro non giustifica l’insubordinazione del lavoratore. Il dipendente non può disattendere un ordine di propria iniziativa, invocando l’eccezione di inadempimento a meno che l’inadempimento del datore di lavoro sia totale o di tale gravità da incidere irrimediabilmente sulle esigenze vitali del dipendente.

In caso di direttive del datore  non condivise dal lavoratore, questi dovrebbe comunque conformarsi alle richieste del datore di lavoro e, successivamente, agire giudizialmente per l’accertamento dell’illegittimità della condotta del datore e l’eventuale risarcimento del danno.

Il caso della cassiera di un supermercato

Presta particolare interesse la vicenda di una cassiera di un supermercato che era stata licenziata per giusta causa, in quanto aveva consentito a tre clienti di non pagare una parte della merce prelevata. La Corte d’appello aveva reintegrato la dipendente, ritenendo che i clienti avessero agito con atteggiamento minaccioso e che la cassiera, pur avendo richiesto l’intervento della guardia giurata, non avesse ricevuto alcun supporto da parte dell’impresa.

La Cassazione, con l’ordinanza 770/2023, ha confermato la decisione della Corte d’appello, stabilendo che l’inadempimento della dipendente, non derivante dal rifiuto di svolgere la prestazione ma dall’esecuzione della stessa in maniera non conforme alle modalità prescritte dalla società, doveva essere considerato legittimo e giustificato, in base all’articolo 1460, comma 2, del Codice civile.

La Cassazione ha sottolineato l’importanza dell’obbligo del datore di lavoro di proteggere il lavoratore rispetto ai comportamenti minacciosi dei clienti o, comunque, percepiti come tali dalla cassiera in buona fede e idonei a esporla a un pericolo per la propria incolumità.

In virtù dell’ordinanza 770/2023, la Cassazione ha stabilito che, qualora il comportamento addebitato al lavoratore sia giustificato dall’accertata illegittimità dell’ordine datoriale e dia luogo a una legittima eccezione d’inadempimento, il fatto contestato deve ritenersi insussistente perché privo del carattere dell’illiceità. Ne consegue l’applicazione della tutela reintegratoria attenuata.

Conclusioni

L’insubordinazione è un comportamento che può avere gravi ripercussioni sul rapporto di lavoro e può comportare il licenziamento del dipendente. Tuttavia, è importante tenere presente che non tutti i comportamenti di dissenso o di contestazione rientrano nella nozione di insubordinazione e che, in alcuni casi, il lavoratore potrebbe avere diritto a contestare le decisioni del datore di lavoro o dei suoi superiori.

In ogni caso, è fondamentale per il lavoratore agire con buona fede e correttezza, cercando di risolvere eventuali controversie nel rispetto delle regole e delle disposizioni del contratto collettivo di lavoro. In caso di dubbi o perplessità, è consigliabile consultare un avvocato esperto in diritto del lavoro per ricevere un parere legale adeguato alla situazione specifica.

Giurisprudenza su insubordinazione

Corte appello Brescia sez. lav., 03/11/2022, n.275

L’insubordinazione è causa di licenziamento

Il dipendente che non abbia eseguito la prestazione richiesta dal datore di lavoro senza addurre una valida ragione, commette una vera e propria insubordinazione: ed infatti il lavoratore che, pur avendo ricevuto una precisa istruzione circa le attività da svolgere, l’abbia completamente ignorata senza spiegare la ragione dell’inosservanza, né allegare l’esistenza di un impedimento all’esecuzione realizza una condotta connotata da dolo o, quanto meno, da inammissibile superficialità, atteso che buona fede e correttezza avrebbero imposto al lavoratore di avvisare tempestivamente il datore di lavoro della mancanza di volontà o dell’impossibilità di eseguire le istruzioni ricevute. Pertanto è legittimo il licenziamento comminato per giusta causa.

Cassazione civile sez. lav., 16/02/2023, n.4831

Insubordinazione verso i superiori e licenziamento per giusta causa previsto dalla contrattazione collettiva

La nozione di insubordinazione non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ricomprendendo essa qualsiasi comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione e il corretto svolgimento delle suddette disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale. Tuttavia, qualora la contrattazione collettiva colleghi l’irrogazione del licenziamento ad una determinata intensità della condotta (“grave”) ed a specifiche azioni (minacce, vie di fatto, etc.), non potrebbe rilevare qualunque comportamento, ma solo quello che, per le sue caratteristiche proprie, si palesi ingiustificatamente in netto contrasto con gli ordini impartiti.

Cassazione civile sez. lav., 16/02/2023, n.4831

Rifiuto da parte del lavoratore di eseguire i compiti che gli sono assegnati dal superiore e legittimità del licenziamento disciplinare

Se è vero che la nozione di insubordinazione non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma ricomprende qualsiasi comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione e il corretto svolgimento delle suddette disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale, tuttavia ove la contrattazione collettiva, come nel caso in esame, ancori l’irrogazione della massima sanzione alla gravità della condotta nei confronti dei superiori, all’esistenza di minacce o di vie di fatto, al rifiuto di obbedienza ad ordini, allora non qualunque comportamento può essere causa di licenziamento ma solo quello che, per le sue caratteristiche proprie, si palesi ingiustificatamente in netto contrasto con gli ordini impartiti (esclusa, nella specie, la legittimità del licenziamento irrogato ad un lavoratore che si era sottratto al compito affidatogli e che aveva accompagnato questo rifiuto con un linguaggio scurrile).

Tribunale Velletri sez. lav., 31/01/2023, n.69

Non si ha insubordinazione nel caso di contestazione del lavoratore motivata e fondata

Si ha insubordinazione – ossia violazione degli obblighi di diligenza ed obbedienza posti a carico del dipendente – qualora il lavoratore adotti un comportamento ingiustificatamente inosservante delle indicazioni impartite dal datore di lavoro o da un suo preposto. Pertanto non può parlarsi propriamente di insubordinazione nel caso in cui il lavoratore si sia rivolto ad un superiore gerarchico, ancorché utilizzando modi inappropriati, alzando la voce e mostrandosi aggressivo nel lamentare la mancanza di pulizia dei luoghi di lavoro, ma dopo aver verificato le condizioni degli stessi – quindi in modo niente affatto pretestuoso – e, terminata la discussione, abbia reso regolarmente la propria prestazione lavorativa.

Tribunale Roma sez. lav., 21/12/2022, n.10938

L’eventuale illegittimità di un provvedimento datoriale non giustifica l’insubordinazione del lavoratore

Nel rapporto di lavoro subordinato l’eventuale illegittimità di un provvedimento del datore di lavoro non consente al dipendente di disattenderlo di propria iniziativa, invocando l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.. Infatti tale disposizione è invocabile soltanto nel caso di totale inadempimento del datore di lavoro o in ipotesi di gravità della sua condotta tale da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del dipendente. Al contrario, nell’ipotesi di direttive datoriali non condivisa dal dipendente, questi, anziché decidere arbitrariamente di disattenderle, deve conformarsi alla richiesta del datore di lavoro, salva la possibilità di agire giudizialmente per l’accertamento dell’illegittimità della condotta datoriale, il ripristino delle prerogative asseritamente lese e l’eventuale risarcimento del danno.

FAQ sull’insubordinazione 

Cos’è l’insubordinazione nel contesto lavorativo?

L’insubordinazione è un comportamento del lavoratore che viola gli obblighi di diligenza ed obbedienza nei confronti del datore di lavoro o dei superiori, come il rifiuto ingiustificato di eseguire un compito assegnato o il comportamento pregiudizievole all’esecuzione e al corretto svolgimento delle disposizioni aziendali.

Quali sono gli esempi tipici di insubordinazione?

Alcuni esempi di insubordinazione includono il rifiuto di eseguire un compito senza fornire una valida ragione, l’ignoranza delle istruzioni ricevute, l’uso di linguaggio scurrile nei confronti dei superiori e il comportamento che ostacola l’organizzazione aziendale.

L’insubordinazione può portare al licenziamento?

Sì, l’insubordinazione può costituire una giusta causa di licenziamento, a condizione che sia dimostrata la gravità del comportamento e il rispetto delle specifiche previsioni del contratto collettivo di lavoro.

In quali casi un comportamento di contestazione non è considerato insubordinazione?

Un comportamento di contestazione potrebbe non essere considerato insubordinazione se il lavoratore ha una motivazione fondata e agisce in buona fede, come nel caso di un dipendente che lamenta le cattive condizioni igieniche dei luoghi di lavoro dopo averne verificato la situazione.

Se un lavoratore ritiene che un provvedimento del datore di lavoro sia illegittimo, può disattendere l’ordine?

No, il lavoratore non può disattendere un ordine del datore di lavoro di propria iniziativa, anche se ritiene che sia illegittimo. In questi casi, il dipendente dovrebbe conformarsi all’ordine e, successivamente, agire giudizialmente per l’accertamento dell’illegittimità della condotta datoriale e l’eventuale risarcimento del danno.

Come può un lavoratore difendersi in caso di accuse di insubordinazione?

Se un lavoratore è accusato di insubordinazione, è importante consultare un avvocato esperto in diritto del lavoro per valutare la situazione e ricevere un parere legale adeguato. Il lavoratore può difendersi dimostrando di aver agito in buona fede, di aver fornito una valida ragione per il suo comportamento o di aver rispettato le disposizioni del contratto collettivo di lavoro

FONTE: https://shortest.link/maRu

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