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Disoccupazione: dopo quanti mesi di lavoro?

Naspi, Dis-coll, disoccupazione dei lavoratori agricoli: dopo quanti mesi di attività si ottiene la prestazione?

L’indennità di disoccupazione spetta, alla conclusione del rapporto lavorativo, a diverse categorie di lavoratori: non soltanto alla generalità dei dipendenti, compresi gli operai agricoli (ai quali spetta un’indennità differente dalla Naspi), ma anche ai collaboratori, ai quali spetta un’indennità speciale, la Dis-coll, ed ai piccoli coltivatori, ai piccoli coloni ed ai compartecipanti familiari (che hanno diritto alla stessa prestazione spettante agli operai agricoli).

Per aver diritto alla disoccupazione, però, non basta appartenere alle categorie di lavoratori aventi diritto: occorre soddisfare diverse altre condizioni, che dipendono dal tipo d’indennità spettante. Ad esempio, per la Naspi sono indispensabili la perdita involontaria dell’impiego ed il conseguente stato di disoccupazione, assieme al possesso di un numero minimo di giornate di lavoro nell’anno e di settimane contribuite. Bisogna poi considerare i casi di esclusione: niente disoccupazione per i dipendenti pubblici a tempo indeterminato, per i pensionati, per chi presenta la domanda dopo il termine di decadenza…

Ma dopo quanti mesi di lavoro si prende la disoccupazione? In realtà, il requisito non è uguale per tutti, ma dipende dalla categoria cui si appartiene, quindi dal tipo d’indennità a cui si ha diritto. Inoltre, il calcolo dei mesi di lavoro può differire per alcuni rapporti particolari, come quello dei lavoratori part-time. Ma procediamo con ordine.

Naspi: quanti mesi di lavoro?

Per il diritto alla Naspi sono poi necessarie 30 giornate di effettivo lavoro nell’anno. Se a richiedere la Naspi è un lavoratore domestico (colf, badante…), sono necessarie almeno 5 settimane lavorate, con un orario minimo settimanale pari a 24 ore. Per colf e badanti, difatti, la settimana lavorativa si considera interamente coperta se risultano assicurate almeno 24 ore, anche se l’attività è stata prestata presso datori di lavoro diversi.

Il requisito delle giornate lavorate si accompagna all’ulteriore requisito di un numero minimo di settimane di contributi.

Nello specifico, per il diritto all’indennità di disoccupazione Naspi sono sufficienti 13 settimane di contributi versate negli ultimi 4 anni, purché non abbiano già dato luogo a un periodo di disoccupazione indennizzata.

Facciamo un esempio per capire meglio: se il lavoratore ha alle spalle 6 mesi di contributi, corrispondenti a 26 settimane, ma, di queste, 20 settimane sono relative a un rapporto di lavoro intervenuto precedentemente, che ha già dato luogo a una precedente indennità di disoccupazione, il lavoratore ha solo 6 settimane utili ai fini Naspi e non può richiedere la disoccupazione.

Per quanto riguarda i collaboratori domestici, il requisito delle 13 settimane lavorate corrisponde a 312 ore di lavoro (13 settimane per 24 ore di lavoro minime settimanali).

Ma a quanti mesi di lavoro corrispondono 13 settimane? Dividendo le 13 settimane per il coefficiente che trasforma le settimane in mesi utilizzato dall’Inps, cioè per 4,333, otteniamo il risultato: 13 settimane corrispondono a 3 mesi di lavoro.

Quanto dura la Naspi?

Come abbiamo detto, per la Naspi sono sufficienti 3 mesi di lavoro. Attenzione, però: la Naspi non funziona come le precedenti indennità di disoccupazione e non ha una durata fissa, o parametrata sull’età del lavoratore. Dura, invece, la metà del periodo contribuito utile.

Così, se il lavoratore ha diritto alla Naspi per 3 mesi di lavoro, percepirà la disoccupazione per un mese e mezzo. Se ha lavorato per 6 mesi, avrà diritto a 3 mesi di Naspi, se ha lavorato per 1 anno, a 6 mesi d’indennità, e così via, sino a un massimo di 24 mesi di Naspi.

A questo punto, però, è importante fare alcune precisazioni.

Quando una settimana è coperta ai fini della Naspi?

Per quanto riguarda il calcolo delle settimane di contributi nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, ai fini del diritto sono valide tutte le settimane retribuite, purché risulti, anno per anno, complessivamente erogata o dovuta una retribuzione non inferiore ai minimali settimanali (risultano dunque penalizzati i lavoratori part time).

Questa disposizione, riguardante i minimali retributivi, non si applica ai lavoratori domestici, agli operai agricoli (che hanno diritto, nella generalità dei casi, a una differente indennità di disoccupazione, non alla Naspi) e agli apprendisti.

Ai fini del diritto alla Naspi, contano anche le settimane di contributi dovute ma non versatedal datore di lavoro, in base al principio dell’automaticità delle prestazioni.

Ai fini del perfezionamento del requisito richiesto di 13 settimane di contributi negli ultimi 4 anni, si considerano utili:

  • i contributi previdenziali, comprensivi della quota disoccupazione (Ds, Aspi, Naspi), versati durante il rapporto di lavoro subordinato;
  • i contributi figurativi accreditati per maternità obbligatoria se all’inizio del congedo risulta già versata o dovuta contribuzione;
  • i periodi di congedo parentale indennizzati e intervenuti in costanza di rapporto di lavoro;
  • i periodi di lavoro all’estero in Paesi comunitari o convenzionati con l’Italia;
  • i periodi di assenza dal lavoro per malattia dei figli fino agli 8 anni di età, nel limite di cinque giorni lavorativi nell’anno solare.

Sono invece considerati neutri (cioè devono essere “saltati” e si devono cercare ulteriori periodi a ritroso nei 4 anni precedenti) i seguenti periodi:

  • malattia e infortunio sul lavoro nel caso non vi sia integrazione della retribuzione da parte del datore di lavoro (ovviamente nel rispetto del minimale retributivo);
  • cassa integrazione straordinaria e ordinaria con sospensione dell’attività a zero ore (Cig e Cigs a zero ore);
    assenze per permessi e congedi fruiti dal lavoratore che assiste un familiare con handicap in situazione di gravità (Legge 104).

Bisogna poi sottrarre le settimane che hanno già dato luogo, negli ultimi quattro anni, ad una prestazione di disoccupazione (Naspi, Aspi, Mini Aspi, Dso, etc.). Secondo la normativa, infatti, non è possibile utilizzare le settimane per le quali l’indennità di disoccupazione è già stata liquidata, con la conseguenza che queste settimane vanno tolte dal calcolo, riducendo la durata massima del nuovo sussidio.

Come si calcola l’importo della Naspi?

L’ammontare dell’indennità di disoccupazione mensile non dipende dalla durata del periodo di lavoro, ma dalla retribuzione media.

Per la precisione, l’importo della Naspi si ottiene:

  • sommando gli imponibili previdenziali (in busta paga, sotto la voce imponibile Inps) degli ultimi 4 anni, comprensivi degli elementi continuativi e non continuativi e delle mensilità aggiuntive;
  • dividendo il risultato per le settimane di contribuzione, indipendentemente dalla verifica del minimale; nel calcolo sono considerate tutte le settimane, indipendentemente dal fatto che esse siano interamente o parzialmente retribuite;
  • moltiplicando il tutto per 4,33.

Se l’importo ottenuto è pari o inferiore a 1.208,15 euro, l’indennità ammonta al 75% di questo importo; se è superiore si aggiunge anche il 25% della differenza tra l’imponibile e 1.208,15 euro. La Naspi non può mai superare, comunque, 1.314,30 euro mensili.

L’indennità diminuisce del 3% al mese a decorrere dal primo giorno del quarto mese di fruizione.

Il calcolo è lo stesso indipendentemente dalla tipologia di contratto subordinato, a termine, stagionale o a tempo indeterminato: non ha infatti importanza che gli ultimi 4 anni siano lavorati per intero, in quanto il calcolo si basa sulla media degli imponibili previdenziali.

Come si calcola l’importo della Naspi per chi ha lavorato part time?

Per i lavoratori che hanno avuto un contratto di lavoro a tempo parziale il calcolo della Naspi è lo stesso appena illustrato: come base, deve essere sempre considerata la retribuzione utile degli ultimi 4 anni (nei quali risulteranno periodi a retribuzione ridotta, a causa del part-time) e va sempre tenuto conto della percentuale del 75% dell’imponibile medio mensile.

In buona sostanza, se per un lavoratore part time risulta un imponibile medio mensile, con riferimento agli ultimi 4 anni, pari a mille euro, la Naspi sarà pari a 750 euro mensili, che spetteranno in base alla durata calcolata. Se in base alla durata calcolata risultano, oltre ai mesi interi, frazioni di mese, l’importo mensile spettante va diviso per 30 e moltiplicato per il numero di giornate della frazione di mese: ad esempio, se spettano 45 giorni di Naspi, si ha diritto a 750 euro per 30 giorni + 375 euro per gli ulteriori 15 giorni.

Quali altre condizioni sono necessarie per avere la Naspi?

La Naspi si ottiene, comunque, solo se l’interessato è in stato di disoccupazione: deve, cioè, aver perso l’occupazione involontariamente ed aver presentato la Did, la dichiarazione d’immediata disponibilità (al lavoro ed agli interventi di politiche attive del lavoro: formazione, orientamento, riqualificazione…), all’Inps (online o tramite patronato), al centro per l’impiego o presso il portale Anpal.

Il lavoratore può perdere involontariamente l’impiego anche se non è stato licenziato: è il caso dei lavoratori a termine, in somministrazione o stagionali, che ottengono la disoccupazione comunque, anche se il rapporto è cessato per scadenza del termine e non per licenziamento.

Hanno inoltre diritto alla Naspi senza licenziamento:

  • i lavoratori che si dimettono per giusta causa o durante il periodo tutelato di maternità (sino a un anno di vita del bambino);
  • i lavoratori il cui impiego cessa per risoluzione consensuale nell’ambito di una procedura di conciliazione, o per trasferimento (se la nuova sede dista oltre 50 chilometri dalla residenza del lavoratore, oppure risulta mediamente raggiungibile in 80 minuti o oltre con i mezzi di trasporto pubblici).

Disoccupazione collaboratori: quanti mesi di lavoro?

Per quanto riguarda i lavoratori parasubordinati, cioè i collaboratori o co.co.co., sussiste comunque il diritto alla disoccupazione, ma non alla Naspi: l’indennità di disoccupazione per i collaboratori, difatti, si chiama Dis-coll.

Nel dettaglio, la disoccupazione Dis-coll spetta ai collaboratori, agli assegnisti ed ai dottorandi titolari di borse di studio: queste categorie hanno diritto alla disoccupazione Dis Coll e pagano alla gestione Separata il 34,23% dei compensi come contributi (di cui 1/3 a loro carico e 2/3 a carico del committente).

La Discoll è riconosciuta ai lavoratori che soddisfano congiuntamente i seguenti requisiti:

  • siano in stato di disoccupazione al momento della presentazione della domanda;
  • possano fare valere almeno tre mesi di contributi nel periodo che va dal 1° gennaio dell’anno civile precedente la cessazione della collaborazione sino alla cessazione stessa (accredito contributivo di tre mensilità).

Per la precisione, il requisito contributivo di tre mesi viene riferito all’anno solare (dal 1° gennaio al 31 dicembre) precedente al termine del rapporto: si tratta di una stabilizzazione di quanto già previsto dalla normativa preesistente.

Si ha quindi diritto alla Dis-coll se risultano almeno 3 mesi di lavoro.

Per approfondire: Dis-coll, disoccupazione per collaboratori.

Disoccupazione agricola: quanti mesi di lavoro?

I lavoratori del settore agricolo, anche se dipendenti, non hanno diritto all’indennità di disoccupazione Naspi, ma a una diversa indennità, la disoccupazione agricola.

Nel dettaglio, hanno diritto alla disoccupazione agricola ordinaria i lavoratori del settore che possiedono i seguenti requisiti

  • almeno 102 giornate contribuite nel biennio precedente alla domanda (2016/2017 per chi ha fatto domanda nel 2018), ossia 102 contributi giornalieri; possono essere considerati, a tal fine, anche i contributi figurativi accreditati per maternità e congedo parentale;
  • anzianità contributiva pari a 2 anni (cioè iscrizione negli elenchi agricoli per almeno due anni, o iscrizione negli elenchi per l’anno di competenza della prestazione, assieme all’accreditamento di almeno un contributo da lavoro dipendente non agricolo precedente al biennio di riferimento);
  • iscrizione negli elenchi nominativi degli operai agricoli relativi all’anno per il quale viene richiesta l’indennità, oppure aver svolto attività di lavoro dipendente agricolo con qualifica di operaio a tempo indeterminato per parte dell’anno di competenza della prestazione.

Bisogna dunque, oltre a soddisfare il requisito di anzianità d’iscrizione, possedere almeno 102 giornate lavorate nei due anni precedenti alla domanda di disoccupazione. Solitamente la domanda di disoccupazione agricola si deve inviare entro il 31 marzo di ogni anno.

Chi ha diritto alla disoccupazione agricola?

I lavoratori aventi diritto alla disoccupazione agricola, in particolare, sono:

  • operai agricoli a tempo determinato (Otd);
  • piccoli coloni;
  • compartecipanti familiari;
  • piccoli coltivatori diretti che integrano fino a 51 le giornate di iscrizione negli elenchi nominativi con versamenti volontari;
  • operai agricoli a tempo indeterminato che lavorano per parte dell’anno (Oti).

Quanto dura la disoccupazione agricola?

L’indennità di disoccupazione agricola spetta per un numero di giornate pari a quelle lavorate, entro il limite massimo di 365 (366 negli anni bisestili) giornate annue, dalle quali vanno detratte: le giornate di lavoro dipendente agricolo e non agricolo; le giornate di lavoro in proprio; le giornate indennizzate ad altro titolo, quali malattia, maternità e infortunio e quelle non indennizzabili (ad esempio per espatrio definitivo).

La cessazione del rapporto lavorativo, per aver diritto alla disoccupazione agricola in un determinato anno, deve essersi verificata nell’anno precedente. Non si ha diritto all’indennità se il lavoratore si è dimesso (a meno che non si tratti di dimissioni per giusta causa, o avvenute nel periodo protetto per maternità/paternità).

FONTE: https://bit.ly/2z573Pl

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