Le sanzioni disciplinari al dipendente e la difesa: come opporsi al richiamo del datore di lavoro.
Hai ricevuto una lettera di richiamo dal tuo datore di lavoro e non sai come gestire la situazione. Ti chiedi come comportarti, in che modo ed entro quanto tempo rispondere, quali possono essere le conseguenze che, da tale comunicazione, potranno derivare e quali difese potrai approntare. Le risposte ai tuoi dubbi potrà dartele sicuramente un avvocato o, in alternativa, puoi leggere fino in fondo questo articolo. Qui di seguito, infatti, ti spiegheremo innanzitutto – in modo semplice e pratico come ormai nostra abitudine – cos’è una lettera di contestazione disciplinare; ti indicheremo quindi quali tipi di sanzioni possono derivare dall’avvio del procedimento e quali tutele può approntare un lavoratore dipendente che voglia contestare il richiamo intimatogli.
Lo faremo anche alla luce di quelli che sono gli orientamenti più recenti della giurisprudenza e, in particolare, di alcune sentenze della Cassazione uscite proprio in questi giorni.
Sapere come funziona una lettera di contestazione disciplinare può risultare importante visto che da questa possono derivare conseguenze piuttosto gravi come, ad esempio, il licenziamento in tronco o la sospensione dal servizio. Procediamo dunque con ordine.
Cos’è una lettera di contestazione disciplinare?
La lettera di contestazione disciplinare è una comunicazione con cui il datore di lavoro informa il dipendente dell’avvio, nei suoi riguardi, di un procedimento volto ad accertare l’eventuale commissione di un illecito da parte di questi. Non è quindi l’atto definitivo con cui viene presa la decisione in merito alla sanzione, ma quello anteriore con cui si dà il via alla relativa indagine. Proprio perché giunge in una fase precedente rispetto all’adozione della misura finale, al dipendente è data la possibilità di difendersi presentando giustificazioni in proprio favore ed evitare così la condanna.
Il datore di lavoro ha infatti un potere disciplinare nei confronti dei lavoratori volto a sanzionare tutte le violazioni del contratto di lavoro, del regolamento aziendale e della legge. Vedremo a breve quali sono tali sanzioni: si tratta di un numero chiuso oltre il quale l’azienda non può ovviamente spingersi inventandone di nuove.
Quando il datore invia la lettera di contestazione potrebbe già essere in possesso di tutte le prove contrarie al lavoratore ed aver già idea di quella che sarà la sanzione finale; ciò nonostante la comunicazione è obbligatoria per legge perché va comunque data la possibilità al dipendente di difendersi e obiettare.
La contestazione è condizione di legittimità del provvedimento sanzionatorio, anche se il lavoratore è venuto in altro modo a conoscenza dell’addebito.
Entro quanto tempo arriva una lettera di contestazione disciplinare
La contestazione deve essere effettuata “tempestivamente” ossia immediatamente rispetto
- alla commissione del fatto contestato; oppure
- alla piena conoscenza (da parte del datore di lavoro) dell’infrazione; non bastano semplici sospetti [1].
La legge non indica quindi un termine prestabilito poiché ogni situazione può essere diversa e richiedere più o meno tempo per poter accertare un illecito e raccogliere le prove sufficienti all’avvio del procedimento disciplinare. Tanto più è complesso l’accertamento del fatto, tanto maggiore sarà il tempo concesso all’azienda per la comunicazione della contestazione disciplinare. In questo, vanno considerate anche le dimensioni dell’azienda: tanto più è strutturata, tanto più ampio può essere il lasso di tempo necessario alla verifica e alla contestazione (finanche tre o quattro mesi). In una realtà invece di piccole dimensioni la contestazione può intervenire più rapidamente.
La tempestività deve essere esclusa quando il tempo trascorso ha ingenerato nel lavoratore la convinzione di essere stato perdonato.
Come deve essere la lettera di contestazione disciplinare?
Il primo requisito che deve avere la contestazione disciplinare è la forma scritta. Il datore dovrà anche procurarsi la prova del ricevimento della stessa da parte del dipendente, ragion per cui dovrà inviarla con raccomandata a.r. o con raccomandata consegnata a mani e controfirmata per accettazione. Non è ammessa la forma orale.
Il secondo requisito è la specificità. La contestazione deve essere quanto più precisa possibile nell’individuare i fatti contestati, inquadrandoli in uno specifico lasso di tempo. Solo così infatti il dipendente può difendersi.
Non è necessaria una dettagliata descrizione dell’illecito disciplinare, ma è sufficiente un richiamo sintetico del fatto che fissa l’ambito della questione sulla quale il lavoratore può impostare la propria difesa.
Se l’addebito riguarda comportamenti omissivi, nella contestazione deve essere precisata in maniera analitica e circostanziata la regola di condotta alla quale il dipendente avrebbe dovuto attenersi e che invece ha violato.
Se l’addebito è riferito a più fatti, l’azienda non deve necessariamente indicare il giorno e l’ora in cui gli stessi sono stati commessi, se (per il numero, i diversi luoghi dell’esecuzione, l’arco di tempo cui si riferiscono) è impossibile una loro collocazione temporale precisa. L’importante è consentire al dipendente una piena cognizione delle accuse mossegli.
Nella contestazione di fatti più gravi possono essere ricompresi anche i fatti meno gravi accertati. Secondo la Cassazione [2], il riferimento a fatti minori nella lettera di contestazione disciplinare non vizia il procedimento né la successiva sanzione. Il mero e generico riferimento, nella lettera di licenziamento, ad altri minori fatti, pur disciplinarmente rilevanti, in presenza della chiara contestazione di un grave episodio nella lettera di contestazione disciplinare, è lecito e possibile, trattandosi di argomenti evidentemente di contorno. Non si configura quindi una violazione del requisito della specificità della contestazione.
Lettera di contestazione disciplinare: contano i fatti passati?
Se la lettera di richiamo disciplinare dà vita al licenziamento, il datore può tenere conto anche delle condotte precedenti e non poste a base del recesso. Secondo infatti la Cassazione [3], nell’intimare il licenziamento disciplinare al lavoratore, il datore deve considerare le violazioni compiute dal dipendente tenendo conto anche della natura e della qualità del rapporto, potendo valutare come significative anche le condotte tenute in precedenza e non poste a base del recesso.
Ci possono essere condotte che, singolarmente prese, per quanto illecite, hanno un valore minimo ma che, sommate, possono giustificare un più grave provvedimento disciplinare come il licenziamento. Si parla, in questi casi, di recidiva. Si ha recidiva quando lo stesso comportamento viene posto nell’arco di due anni. Lo Statuto dei lavoratori vieta di prendere in considerazione, ai fini della recidiva, condotte sanzionate più di due anni prima («Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione») [4]. Questo però non toglie, ha più volte detto la Cassazione, che il datore di lavoro possa tenere conto dei comportamenti pregressi posti dal dipendente ai fini di una valutazione complessiva della sua condotta.
Leggi sul punto: Quando decade la lettera di richiamo disciplinare?
Come difendersi dal richiamo disciplinare
Una volta ricevuta la comunicazione del datore di lavoro, il dipendente ha cinque giorni di tempo per presentare difese in proprio favore con un atto scritto da consegnare di persona o con raccomandata a.r.
Nella stessa memoria di difesa il dipendente può chiedere di essere ascoltato oralmente(eventualmente accompagnato da un sindacalista ma non dall’avvocato). In tal caso l’azienda non può adottare la sanzione prima di aver sentito l’interessato. La sanzione disciplinare irrogata senza l’audizione orale eventualmente richiesta dal lavoratore è illegittima per violazione di norme imperative di legge.
Cosa succede dopo?
All’esito della valutazione delle difese del dipendente, il datore di lavoro può prendere la decisione circa l’esito del procedimento comunicandolo – anche in questo caso, “tempestivamente” – al dipendente. La comunicazione potrà contenere l’archiviazione del procedimento, con l’accoglimento delle difese, oppure la sanzione disciplinare.
Quali sanzioni disciplinari l’azienda può adottare?
All’esito del procedimento disciplinare così descritto, il datore di lavoro può decidere se e quale sanzione può adottare nei confronti del dipendente. La sua discrezionalità trova un limite nella proporzione con l’infrazione commessa. Il contratto collettivo può indicare, per specifiche condotte, la correlativa sanzione, togliendo così al datore ogni margine decisionale.
Vediamo quali sono le sanzioni disciplinari che l’azienda può adottare:
- ammonizione scritta: è la sanzione meno grave. Da essa si distingue la nota di qualifica, che consiste nella valutazione complessiva dell’attività del lavoratore da parte del superiore gerarchico. Essa, infatti, ha una funzione solo valutativa, circoscritta alla qualità della prestazione che il lavoratore deve fornire;
- multa: consiste in una trattenuta in busta paga fino a massimo 4 ore di retribuzione;
- sospensione dal soldo e dal servizio: in questo periodo, di massimo 10 giorni, il dipendente non può andare a lavorare e non viene retribuito;
- trasferimento ad altra sede o reparto;
- licenziamento.
Contestazione della sanzione disciplinare
Il dipendente può contestare la sanzione disciplinare ricevuta, in due diversi modi:
- promuovere entro i 20 giorni successivi all’applicazione della sanzione, per tramite dell’Ispettorato territoriale del lavoro, la costituzione di un collegio di conciliazione e arbitrato per ottenere la revoca o la conversione del provvedimento. Il lavoratore può chiedere la costituzione del collegio direttamente (anche con l’assistenza di un professionista) oppure per il tramite di una organizzazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. In tal caso viene sospesa, fino alla pronuncia del lodo, l’efficacia della sanzione disciplinare già intimata. Il lavoratore che ha scelto tale via non può proporre l’azione innanzi al giudice ordinario, salvo che il procedimento arbitrale non si concluda con l’emissione di un lodo valido;
- impugnare la sanzione in tribunale. In tale ipotesi il datore di lavoro ha l’onere di provare l’esistenza dell’addebito contestato ed il rispetto delle procedure previste dalla legge, mentre un orientamento giurisprudenziale sostiene che spetta al lavoratore provare l’irrilevanza disciplinare del fatto contestatogli.
note
[1] Cass. 19 maggio 2016 n. 10356.
[2] Cass. sent. n. 31993/2018 dell’11.12.2018.
[3] Cass. ord. n. 32042/2018 dell’11.12.2018.
[4] Art. 7 ultimo comma Legge 300/1970
FONTE: https://bit.ly/2LeADHY